Paolo Albani
SE LA METAFORA SPIEGA
IL COLORE CHE NON C'È


 

Nella quarta di copertina di Antologia privata, Giorgio Manganelli si autodefinisce «competente in fatto di cose che non esistono». La letteratura delle cose che non esistono, in senso stretto, annovera un ampio e suggestivo campionario: lingue immaginarie, luoghi irreali (bellissimo il Manuale dei luoghi fantastici di Albert Manguel e Gianni Guadalupi che affascinò Italo Calvino), libri inesistenti (in forma di cataloghi, biblioteche o evocati in recensioni improbabili), quadri mai dipinti, persino dischi che non sono mai stati prodotti e film mai girati di cui però esistono ingannevoli frammenti. In una nota al suo Essai sur les bibliothèques imaginaires (1851), Gustave Brunet avanza l’ipotesi che «un lavoro analogo a quello intrapreso sui libri immaginari potrebbe investire il soggetto dei quadri, stampe, medaglie, oggetti di ogni genere, la cui esistenza è stata indicata in opere satiriche e mistificatorie, e non più reali di quanto lo siano i libri dell’abbazia di San Vittore» (allusione alla biblioteca di libri bizzarri inventati da Rabelais nel Gargantua e Pantagruele).

   Ora, alla letteratura delle cose che non esistono, si aggiunge un nuovo, affascinante campo di ricerca, finora mai esplorato in modo esauriente: quello dei colori immaginari, immaginati o fantasiati come preferisce chiamarli Lino Di Lallo, scrittore, artista visivo e performer, autore di una voluminosa e imperdibile Tavolozza d’autore, sottotitolata Il grande libro dei colori fantasiati, con una presentazione di Carlo Ossola, edita nel 2018 da Il Formichiere di Foligno.

      Il volume, più di 400 pagine, ricco di acquerelli dell’autore, posti in apertura dei singoli capitoli alfabetici, e anche inframezzati nel testo, assieme a un carosello di divertenti giochi verbo-visivi, creati sempre dallo stesso Di Lallo, si presenta come un «prodigioso catalogo di prelievi testuali» – sono parole di Ossola – che copre le lettere dalla A alla E, dove per ogni colore inventato è fornita la citazione da cui è tratto e la fonte bibliografica. S’inizia così dal «colore dell’abisso e dell’invisibile» con cui Emilio Villa colora, è proprio il caso di dirlo, la pittura di Burri e si finisce con il «colore dell’estate» contenuto in una poesia di Vittorio Sereni.

    Il libro è arricchito da interventi ludici («Il celeste: un blu balbluziente», «Pittori di fine settimana: Sabatini e Domenichino»), gustosi intermezzi aforistici dell’autore che nei suoi scritti ha sempre fatto largo uso, come si legge nella sua nota biografica, di «farfallonerie, besguizzi, cherebizzi, frascherie, stiracchiature, zazzeraie, buacciolate, tantafere, frottole e trottole».

      Ma il catalogo non finisce qui, siamo solo al preludio: sono annunciati infatti altri due volumi, al momento in preparazione e prossimi all’uscita, a coprire l’intero arco delle lettere dell’alfabeto (nell’ultimo volume ad esempio, alla lettera X, troveremo «un xantogenato colore arancione ruggine» tratto da Il Poema non umano dei tecnicismi di Filippo Tommaso Marinetti).

     Come nasce Tavolozza d’autore, frutto di anni di una meticolosa e titanica ricerca? Alcune anticipazioni si hanno su “il Caffè illustrato”, bimestrale di parole e immagini diretto da Walter Pedullà, all’inizio degli anni duemila. La folgorazione cromatica viene a Di Lallo, per sua stessa ammissione, dal «color tacco visto dal disotto» di Carlo Emilio Gadda, citato ne L’Adalgisa, capolavoro comico del grande scrittore lombardo: «C’erano le balaustre di disegno romano bianco, a transenna, in croci di Sant’Andrea blandamente libertyzzate; c’erano colonne joniche infarinate di stucco, d’un pallore di ricotta; capitelli con qualche oro, con un loro lustro di crème-caramel; e l’assito del palcoscenico d’abeto color tacco visto dal disotto, d’un grigio polvere».

Per tracciare l'itinerario di questo immaginario cromatico, all’interno del quale i colori privi di nomi, perché appunto fantasiati, trovano le metafore feconde (e iraconde) a descriverli, Di Lallo ha operato delle scelte concentrandosi su quegli autori in possesso di una vocazione al delirio coloristico e di un’attenta vocazione aggettivale, esasperata e dilatata.

     Oltre a raccogliere colori particolari, tipo – in questo primo volume – azzurro color di lontananza, color caca roi de Rome, un blu che non è nemmeno blu, color cane-che-fugge, colore corto e lungo, colore simile alla posa del caffè, Di Lallo gioca con le varianti intorno a un singolo colore, ad esempio: i colori… barbacosacco, napoleone (ne parla Leopardi nello Zibaldone) che, in altri autori, diventa color Napoleone chiaro, bellissimo color Napoleone, blù Napoleone.

     Sono partito da Manganelli e con lui mi piace concludere. In una pagina de La notte, il Manga, come lo chiamavano gli amici, scrive (e la citazione è contenuta in Tavolozza d’autore) che la luce serale assume «il delicato colore delle elitre di un enorme insetto moribondo».


   

Domenica - Il Sole 24 Ore, 89, 31 marzo 2019, p. 30.

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Sulla Domenica - Il Sole 24 Ore del 21 giugno 2020,
Stefano Salis recensisce il terzo volume di Tavolozza d'autore
di Lino Di Lallo, citando la mia recensione, cliccate qui.

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