Paolo Albani
IL GELSO DI
DI RUE QUINCAMPOIX


Nell’estate del 1719 Bélisaire Croiset lavorava come garzone nella panetteria di Monsieur Duby, un omone burbero e tirchio, dominato da una grossa pancia avvolta in un grembiulaccio su cui, di continuo, si puliva le mani imbrattate di farina. Per Duby ogni pretesto era buono per mettersi a inveire, contro la moglie, i figli, la suocera che stava dietro la cassa, e con più gusto e in particolare contro Croiset. Anche quando, in bottega, distribuendo il pane, domandava: «A chi sta, ora?», lo faceva urlando, tanto che a volte succedeva che, sentendo il suo vocione, i bambini si mettevano a piangere e si nascondevano, impauriti, dietro le gambe dei genitori. 
La mattina Croiset faceva il giro dei clienti della panetteria, mentre al pomeriggio dava una mano in bottega, occupato in mille lavoretti, sgambettando fra il forno dove si cuoceva il pane e il bancone della vendita al pubblico.
Quando la gente lo vedeva arrancare per strada con la sporta del pane a tracolla gli sorrideva intenerita. I più sfacciati si lasciavano andare a qualche innocua battuta: «Ehi, Croiset, mi dai un po’ di fortuna?», «Vieni Croiset, fatti accarezzare!» Lui accennava a un saluto, torcendo gli occhi, ma non dava confidenza a nessuno e proseguiva per la sua strada, barcollando con dignità.
La panetteria di Monsieur Duby era all’angolo con Rue Quincampoix, la strada dove si svolgevano gli affari della Borsa, dove la gente schiamazzava per vendere e acquistare azioni, filles e mères, e titoli di ogni genere. In una sola giornata, all’aria aperta, da Rue Quincampoix passavano di mano in mano migliaia di livres, moneta del tempo, e insieme alle livres altrettante illusioni e sogni di gloria. Dietro il miraggio di una facile ricchezza volavano promesse, e nel giro di pochi minuti, da un angolo all'altro della strada, si bruciavano fortune e prosperavano patrimoni inverecondi.
Un giorno di quell’estate del 1719, Croiset si trovò a passare da Rue Quincampoix per una consegna. La mattinata volgeva al termine e Croiset si sentiva un po’ stanco. Il suo corpo, che non era proprio un campione di esuberanza, si affaticava con facilità. Decise di riposare un attimo sotto l’ombra di un gelso, mentre non distanti da lui gli speculatori si rincorrevano freneticamente e si alzavano le grida delle contrattazioni come violenti battibecchi fra oche.
D’un tratto, dalla folla, sbucarono fuori due scalmanati, vestiti elegantemente. Uno agitava per aria un foglietto sgualcito. I due, senza tanti complimenti, circondarono Croiset e lo misero nel mezzo. Quello più nervoso gli disse guardandolo dritto in faccia, con gli occhi spiritati che sembrava avesse appena finito di fumare dell’oppio: «Amico, non ti dispiace se firmo questo contratto sulla tua schiena, eh? Abbiamo una certa fretta di concludere».
Croiset non fece in tempo a abbozzare una risposta che l’uomo lo aveva bloccato con tutte e due le mani, girandolo su se stesso, e aveva già cominciato a calcare la sua firma sul foglietto appoggiandosi alla schiena del garzone. Prima di allontanarsi, in segno di gratitudine per il servizio ricevuto, i due, bontà loro, fecero scivolare una manciata di livres nella mano di Croiset.
Appena si riprese dal turbinio dell’accaduto, come un ebete, Croiset si mise a contare le livres. Erano molte, una somma ragguardevole, almeno per lui, comunque sia più di quanto avrebbe potuto guadagnare in sei mesi di lavoro nella panetteria di quello spilorcio di Monsieur Duby.
Tutto felice, Croiset raggiunse la strada e stava per ritornarsene alla bottega, quando fu avvicinato da alcuni damerini che gli chiesero, in un francese approssimato e ridicolo, se potevano usufruire della sua schiena per firmare dei contratti, lì all'istante. Anche loro andavano di fretta, in preda alla stessa euforica bramosia dei due precedenti signorotti. Dopo la prestazione, eseguita in un lampo, ringraziarono e lasciarono al buon Croiset, sempre più frastornato, un gruzzoletto di livres.

L'indomani Croiset lasciò la panetteria di Monsieur Duby, senza dare alcuna spiegazione. Disse solo: "Non posso più restare", e salutò tutti con un sorriso, ignorando le imprecazioni di Monsieur Duby che continuò a urlargli dietro finché non lo vide scomparire per strada.
Ogni mattina, puntuale come un foruncolo dopo un'abbuffata di bignè, si piazzò sotto il gelso di Rue Quincampoix mettendo il profilo della sua schiena al servizio della speculazione finanziaria.
In breve tempo diventò il gobbo più ricco di Parigi.

aprile 2002




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