Paolo Albani
LA GOVERNANTE DI JEVONS


Una storia delle idee bizzarre prodotte dalla fervida mente degli economisti non è ancora stata scritta. Ed è un vuoto di cui rammaricarsi, anche perché, a pensarci bene, gli spunti per raccogliere un’antologia di stramberie economiche non mancherebbero di sicuro. Numerose sono infatti le perle di analisi «balzane» che s’incontrano qua e là fra le pagine dei trattati della dismal science, tali da formare un libro di godibile lettura, il cui titolo potrebbe essere La futilità marginale.
Basti solo pensare, fra gli esempi più conosciuti, alla teoria dell’«ultima ora» di Nassau William Senior sulla quale ironizzò Karl Marx nel primo libro del Das Kapital. Oppure ad alcune bislacche speculazioni di Achille Loria, contenute nell’articolo «Le influenze sociali dell'aviazione (Verità e fantasia)», apparso sul fascicolo III della rivista Rassegna Contemporanea del 1 gennaio 1910, pp. 20-28. 
L’articolo, osserva Gramsci, «è tutto un capolavoro di “bizzarrie”: vi si trova la teoria dell'emancipazione operaia dalla coercizione del salario di fabbrica non più ottenuta per mezzo della “terra libera” ma per mezzo degli aeroplani che opportunamente unti di vischio, permetteranno l'evasione dalla presente società con il nutrimento assicurato dagli uccelli impaniati; una teoria sulla caduta del credito fiduciario, sullo sfrenarsi delle birbonate sessuali (adulteri impuniti, seduzioni, ecc.); sull'ammazzamento sistematico dei portinai per le cadute di cannocchiali; un compendio della teoria altrove svolta, sul grado di moralità secondo l'altezza dal livello del mare, con la proposta pratica di rigenerare i delinquenti portandoli nelle alte sfere dell'aria su immensi aeroplani, correzione di una precedente proposta di edificare le carceri in alta montagna, ecc. ecc.» (Antonio Gramsci, Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Einaudi, Torino, 1955, p. 170).
Per arrivare fino ai giorni nostri, alla pubblicazione sull’autorevole Econimc Journal (101, settembre 1991) di un paper scritto da tre economisti americani - Don N. MacDonald, John H. Kagel e Raymond C. Battalio - dal significativo titolo «Animals’ choices over uncertain outcomes: further experimental results», in cui sono riportati «the results of an experiment exploring rats choices over uncertain outcomes designed to discriminate between various non-expected utility models of choice».
Certo, aggiunge Gramsci, «ogni periodo ha il suo lorianismo più o meno compiuto e perfetto e ogni paese ha il suo».
Nell'Inghilterra del secolo XIX , un esponente che forse potrebbe ben figurare nella categoria d'intellettuali tratteggiata dal fondatore del partito comunista italiano, almeno per quanto riguarda la teoria delle fluttuazioni economiche, è William Stanley Jevons (1835-1882), pioniere della statistica descrittiva, logico ed epistemologo di notevole livello, oltre che uno dei grandi ispiratori, insieme a Carl Menger e Marie-Esprit-Léon Walras, della cosiddetta «rivoluzione marginalista» che sostituì la dea-utilità al demoniaco-lavoro nella determinazione del valore di scambio delle merci.
Come Loria, anche Jevons è «un uomo d'ingegno». Lo testimonia il giudizio di Schumpeter che ritenne il Nostro «uno degli economisti più genuinamente originali che siano mai esistiti» (Joseph A. Schumpeter, Storia dell’analisi economica, Torino, Boringhieri, 1968, p. 643).
Dopo anni di studi, verifiche e accurati riscontri, Jevons concepì un’ipotesi audace, nota nella letteratura economica come «teoria delle macchie solari», non molto diversa, a dire il vero, da quella generativa dei cicli economici elaborata da Henry Ludwell Moore. Fuori dagli schemi tradizionali egli stabilì una connessione tra il ritmo dei raccolti, supposto determinato da periodiche fluttuazioni meteorologiche, e l’andamento altrettanto ciclico del commercio, in ciò preceduto da altri studiosi, fra cui William Herschel, Hyde Clarke e John Miles.
La «meravigliosa coincidenza» fra l’intervallo medio (circa 10,466 anni) con cui le principali crisi commerciali si susseguirono dall’inizio del Settecento fino al 1878 ed il ciclo delle macchie solari (10,45 anni) calcolato dall’astronomo britannico John Allan Broun (1817-1879), spinse Jevons, in virtù dell’intensa passione che arde nell’animo degli economisti per le «leggi fisiche» della società, a considerare quel suggestivo parallelismo come «una prova evidente che i due fenomeni sono collegati in rapporto di causalità». Anche se poco dopo si affrettò a precisare che «non è possibile stabilire l’esatta natura del rapporto» in questione.
Il nucleo di questa brillante intuizione è rintracciabile in diversi scritti dell’economista inglese, fra cui The Solar Period and the Prince of Corn (1875), The Periodicity of Commercial Crises and Its Physical Explanation (1878) e Commercial Crises and Sun-Spots, quest’ultimo apparso sul numero XIX del novembre 1878 della rivista Nature, e recentemente (ottobre 1992) tradotto in italiano da Evelina Eroe per una plaquette stampata in 140 copie a Firenze dalla casa editrice Wunderkammer.
La cosa singolare non è tanto che l’idea dell’influenza delle macchie solari sui cicli economici si sia rivelata alla fine un fallimento (come sostiene Eric Roll nella sua Storia del pensiero economico, Boringhieri, Torino, 1967, p. 383), bensì che Jevons, quell’idea, l’abbia potuta semplicemente architettare, plasmare nella sua mente per tanto tempo, fino a darle una forma elegante, una parvenza di dignità scientifica.
 Altrettanto curioso il particolare che ora si apprende su questa vicenda, dopo la pubblicazione a Londra di The letters of W. S. Jevons to Mrs Laurie Bardeen, 1869-1871, a cura di John Felton, ovvero del carteggio fra Jevons e Mrs Laurie Bardeen che fu per molti anni la sua governante. 
Dalla corrispondenza fra i due affiora in modo velato, ma chiaro che l’ispiratore (e quindi in un certo senso l'ignaro precursore) della teoria delle «macchie solari» fu un vecchio zio della Bardeen, un certo Allan Gough, piccolo agricoltore nella contea del North Yorkshire, che, tramite la nipote, mise al corrente il grande economista di alcuni fenomeni che gli erano capitati, e di cui non sapeva darsi una ragione. 

«Carissimo Professor Jevons», scrive il 6 ottobre 1869 la Bardeen dalla sua casa di Plymouth, «mio zio Gough La saluta calorosamente e mi chiede d’informarLa di quanto gli sta accadendo, per avere da Lei, se possibile, delle delucidazioni in merito, sempre che ciò non Le arrechi disturbo, cosa che lo zio non vorrebbe affatto. Da alcuni anni il caro zio lamenta che ogni volta che si verificano dei danni nel suo podere, ad esempio va male il raccolto delle patate, si seccano degli alberi da frutta o cose simili, immancabilmente succede qualcosa di negativo ai suoi risparmi. Due mesi fa, ad esempio, mi ha raccontato che tutte le sue galline sono state sterminate da una terribile malattia, e, guarda caso, nello stesso periodo è stato rapinato per strada da due malfattori vestiti da spazzacamini. Lo zio ha notato che questi episodi delittuosi si verificano quasi sempre in concomitanza di maree, provocate, come si sa, dall’azione gravitazionale combinata della Luna e del Sole. Così, il pover’uomo, si è messo in testa che l’assottigliamento del gruzzoletto di sterline che ha messo da parte in anni di duro lavoro sia in qualche modo causato dall’influsso nefasto di quegl’astri».

Il 15 dicembre dello stesso anno Jevons risponde telegraficamente alla sua governante:

«Cara Mrs Bardeen, informi Suo zio che sto lavorando alla risoluzione dei problemi che lo affliggono. Le notizie da lui fornitemi mi sono state di grande stimolo. Una spiegazione c’è, e credo di averla individuata. A presto, il Suo sempre affezionato William Stanley Jevons».



Con questo titolo La governante di Jevons. Storie di precursori dimenticati è uscito un mio libro nel 2007 presso Campanotto Editore.



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