Paolo Albani
LA «MANIFESTITE» 
NEL NOVECENTO ARTISTICO-LETTERARIO
in collaborazione con Patrizia Barchi

Ricorre quest’anno il centenario della pubblicazione del primo Manifesto del Futurismo, uscito originariamente in italiano il 5 febbraio 1909 sul quotidiano bolognese la Gazzetta dell’Emilia. Marinetti & C. furono perdutamente affetti da una forma cronica, bulimica di “manifestite”, basti pensare che dal 1909 al 1916 scrissero oltre cinquanta manifesti (negli anni trenta apparvero persino un Manifesto futurista sulla cravatta italiana e un Manifesto futurista del cappello italiano), in media quasi un manifesto ogni due mesi, che interessarono ogni aspetto della vita quotidiana e ogni forma di espressione artistica. 
Di “manifestite” soffrirono anche tutte, o quasi, le avanguardie fiorite in Europa all’inizio del XX secolo, comprese quelle più piccole come i Nullisti (Nicevoki) di Rostov sul Don che nel 1920 pubblicarono un Manifesto che recitava così: «Non scrivete nulla, non leggete nulla, non dite nulla, non stampate nulla». 
Il Novecento artistico-letterario è attraversato da una forte passione per i manifesti, in primo luogo partitici: lo stesso Marinetti l’11 febbraio 1918 pubblica su L’Italia futurista il Manifesto del Partito Futurista italiano, permeato di idee nazionaliste e anticlericali. 
Tralasciando, per motivi cronologici e di spazio, quelli prodotti dai cosiddetti «folli letterari» studiati da Raymond Queneau e André Blavier o quelli redatti dal Capitano Cap, alias Albert Caperon (1864-1898), che si autodefiniva «candidato antiburocratico e antieuropeo», «nemico della routine e delle scartoffie» (il programma di Cap comprendeva la costruzione di una Plaza de toros sulla collina di Montmartre e la soppressione delle imposte sulle biciclette), personaggio immortalato in un romanzo di Alphonse Allais, ci limiteremo qui a ricordare alcuni Manifesti politici ideati da scrittori e artisti.
Nel 1911 a Praga un gruppo di intellettuali fra cui Jaroslav Hašek, cantore delle avventure de Il bravo soldato Švejk, pubblica il Manifesto del Partito del progresso moderato nei limiti della legge, il cui programma prevede oltre al perseguimento di un moderato progresso, una maggiore severità verso il popolo dei poveri, la statalizzazione dei sacrestani e dei portieri, la lotta ai creditori morosi laici, l’assegnazione delle banche agli ecclesiastici. La sede del partito è un’osteria di Vinohrady, quartiere di Praga, frequentata spesso da un giovane sconosciuto di nome Franz Kafka. Nelle elezioni per il rinnovo del parlamento imperialregio, Hašek, capo e unico candidato del partito, ottiene 38 voti a testimonianza della “poderosa crescita del partito”, dovuta in gran parte all’adesione degli avventori dei caffè e delle osterie praghesi. 
Antonio Delfini, insieme al «geniale scroccatore» Giuseppe Paganelli, pseudonimo di Giacomo Aventi, redige nel 1951 a Viareggio il Manifesto per un partito conservatore e comunista in Italia, edito lo stesso anno presso il vecchio amico Guanda. I punti programmatici del Partito conservatore e comunista prevedono fra l’altro la scomparsa di trust e monopoli, la gestione collettiva delle industrie, il ripristino dello Statuto Albertino (anche se con opportuni riadattamenti), una nuova legge elettorale e una nuova forma di rappresentanza politica. Proposte semplici, afferma Delfini, ma il cui effettuarsi «modificherà più di ogni pseudo socialismo della cattedra o della piazza, la politica e la morale in Italia».
Su un versante palesemente umoristico-caricaturale si collocano le iniziative politiche di due bizzarri artisti: Pablo Echaurren e Gualtiero Schiaffino. 
Nel 1987 Echaurren fonda a Livorno il Partito groucho-marxista d’Italia che auspica e pratica un astensionismo attivo nella speranza che le elezioni si tramutino in un fiasco clamoroso. Sempre Echaurren, in occasione delle elezioni comunali del 1997, scrive il Manifesto del Partito del Tubo, il cui programma prevede un’orgogliosa e decisa astensione, una pulizia anti-intasamento delle condotte sociali dei partiti di governo e di opposizione; la sede del partito è una toilette della camera dell’Hotel Sheraton di Roma. Ecco alcuni slogan coniati per la campagna elettorale del Partito del Tubo: «Adotta un politico e convincilo a smettere»; «Noi vi salderemo»; «Tubi major minor cessat»; «Tra l'incudine e il martello scegliete il tubo»; «Manda un idraulico a Bruxelles»; «Un partito di lotta e di s-cultura»; « Contro l'impaginazione al potere».
Affetto da “manifestite acuta” è anche Schiaffino, autore nel 1999 del Manifesto programmatico di eleganza democratica, espressione di «Eleganza Democratica», il “vero partito di classe”, partito dandy che si batte per lo sviluppo democratico dell’eleganza e del bello sostenibile. Inarrestabile sul piano della politica satirica, Schiaffino è fondatore di altri numerosi partiti fra cui il Partito Opportunista Italiano (2001) che raccoglie tutti quelli che sono un po’ di destra e un po’ di sinistra; il Partito Politico Provvisorio (2001?) per coloro che “si lasciano coinvolgere casualmente dalla politica”, i cui motti sono «Liberté, Precarieté, Casualité» e «o il caos o il caso!»; il Partito Personale Italiano (2007), l’unico partito democratico in quanto ogni singolo iscritto è il Segretario Nazionale del partito stesso, e il PD ovvero il Partito Di fatto (2008), un partito senza iscritti, senza sedi, senza organi, senza correnti e senza senso.

il Caffè Illustrato, 46/47, gennaio/aprile 2009, p. 7.


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