Paolo Albani
ATTARDI, PROFETA IMMORTALE

        


   
Dai titoli dei suoi libri (Teoria della vita, 1861; Filosofia dell'immortalità dettata in brevi lezioni, 1875; La perenne vitalità dello organismo umano, 1880; Sulla immortalità corporale dell'uomo, 1894) si potrebbe pensare che Francesco Attardi (1820-?), sacerdote beneficiato della Real Cappella di Palermo, abbia trovato un elisir di lunga vita, un intruglio medicamentoso di sapore alchemico per ingannare il «sonno eterno». Niente di tutto questo. L’originalità del pensiero di Attardi sta nella sua ferma convinzione che l’uomo possa davvero raggiungere l’immortalità, qui su questa terra. Come scrive nella premessa a Vita e coscienza ossia Coscienza ed immortalità (Tip. Morvillo, Palermo, 1867), Attardi si augura che le sue idee, accolte come «un momentaneo delirio», siano prese come l’inizio di una «verissima effettuazione di realtà» (su Attardi: Gustave Brunet, Les Fous littéraires. Essai bibliographique sur la littérature excentrique, les illuminés, visionnaires, etc. par Philomneste junior, Gay et Doucé Éditeurs, Bruxelles, 1880, pp. 12-13).

   Ma com’è possibile che l’uomo ancora in vita, e non dunque in un ipotetico mondo dell’al di là, abbia la facoltà di diventare immortale? L’analisi di Attardi muove dal fatto che la parola «vita» significa «durata». La natura della vita, secondo questo primitivo senso, consiste nella sua durata, e in quanto tale essa si compenetra nell’eternità. Ma è pur vero che l’uomo muore. L’uomo muore, risponde il sacerdote palermitano, perché l’attuale posizione della mente umana lo spinge temporaneamente alla morte, invece che all’immortalità; d’altronde la stessa morte è una durata e quindi è una specie di immortalità, e può facilmente trasformarsi in una specie di durata riferita alle forme dell’immortalità e della vita.

    Alcuni sostengono che il corpo umano deve naturalmente perire perché la materia si consuma. A costoro Attardi replica che le trasformazioni del corpo umano non accadono come nei logoramenti della materia bruta, ma si succedono tra loro per l’attività di un intrinseco sviluppo organico, così che la nuova massa di materia, la quale subentra dopo pochi mesi a quella già esistita, «si riveste delle forme proprie del corpo in cui si introduce, e compie e fa durare l’identità del medesimo». Altri ritengono che si deve inevitabilmente morire; lo si deduce dal fatto che gli uomini senz’alcuna eccezione sono morti e continuano a morire giornalmente. A questa osservazione Attardi controbatte che pure un tempo nessuno andava in America o conosceva la ferrovia, il telegrafo elettrico, la pila di Bunsen; dunque si può cominciare a non morire più, nonostante che tutto fino a ora sia stato preda della morte. Se la morte fosse una legge necessaria e generale, prosegue Attardi, nemmeno un giorno di vita si potrebbe durare sopra la terra, gli esseri animati morirebbero tutti quanti nello stesso momento in cui nascono, e la scienza non potrebbe trovare, come si vanta di fare, gli espedienti per contrastare le forze delle malattie e della mortalità. L’estensione della terra, si dirà facendo leva sul buon senso, non potrebbe bastare a contenere tutti gli uomini se non vi soccorresse la morte. In risposta a quest’ulteriore riserva Attardi fa presente che oltre all’estensione del nostro globo, c’è nell’universo quella di tutti gli spazi e poi ci sono i cieli.

     Ne La perenne vitalità dello organismo umano (Tip. del Giornale di Sicilia, Palermo, 1880) Attardi, che si ritiene il primo a aver penetrato il pensiero intelligibile dell’immortalità dell’organismo umano, precisa che non ha inteso parlare dell’immortalità dell’anima umana, come alcuni erroneamente hanno creduto, bensì proprio della perenne attitudine vitale del corpo umano.

   L’unico che si è degnato di esaminare, in una lettera del 21 novembre 1880, il lavoro di Attardi, altrimenti accolto con freddezza da letterati, scienziati e filosofi, è stato Frédéric Guillaume Bergmann (1812-1887), professore di Letterature straniere all’Università di Strasburgo. In Sulla perenne vitalità dello organismo umano. Lettera al signor F. G. Bergmann (Tip. del Giornale di Sicilia, Palermo, 1881) Attardi discute le sue osservazioni critiche.

     All’obiezione di Bergmann che non crede si possa arrivare all’immortalità, pur ammettendo che, con la nostra virtù e intelligenza, sia possibile prolungare la vita per alcuni anni, Attardi ribatte che questo lo fanno anche i gatti e i cani quando vanno istintivamente a trovare un po’ d’erba per sollevarsi dalle loro infermità. Noi uomini, a differenza dei bruti, concepiamo l’immagine di una vita perenne secondo cui il finito, ovvero il corpo possa tenersi vivente in rapporto all’infinito, e aspiriamo a riprodurre in noi e nell’organismo la realtà corrispondente a tale immagine. Ciò non significa, come insinua Bergmann, che l’uomo intenda assomigliare a Dio. La vita eterna ci sarà agevolata da Cristo, ma per noi, sostiene Attardi con un ragionamento che non fa una piega, «è certo più facile il vincer da viventi la morte, che il vincerla dopo che si è morti». All’uomo resta da fare il meno, spiega Attardi: se pure la resurrezione finale dovesse accadere fra 20.000 anni, che sarà mai questo lasso di tempo di fronte alla vita eterna? Nulla. Dobbiamo solo mantenerci immortali fino alla resurrezione. Forse Cristo lo proibisce? Forse vuole che ci troviamo tutti morti nell’attimo del risorgimento? Se fosse così, chi ascolterà la voce del Figlio di Dio? I soli morti?

    Nonostante soffra da vent’anni il silenzio dei dotti, non per questo Attardi rinuncerà a sostenere la sua dottrina. Per lui sarà un merito maggiore predicarla da solo. I filosofi dovrebbero dirgli apertamente che lui non ragiona, che è uno stupido o un pazzo, mentre invece lo ignorano. E pensare, conclude Attardi, che la sua argomentazione, fondata sul vigore della più stretta logica, si prefigge di capovolgere l’attuale atteggiamento della filosofia e della scienza, rendendo un servizio alla Verità e all’intera famiglia umana.


Domenica da collezionare - Il Sole 24 Ore, 82, 24 marzo 2013, p. 41.
Per vedere l'intera pagina della Domenica (in pdf) cliccate qui.
 
Per andare o ritornare al menu delle mie collaborazioni alla Domenica de Il Sole 24 Ore cliccate qui.

Per andare alla pagina dove si parla del libro I mattoidi italiani cliccate qui.



HOME  PAGE       TèCHNE       RACCONTI      POESIA VISIVA

ENCICLOPEDIE  BIZZARRE        ESERCIZI  RICREATIVI        NEWS