Oggi il mio computer mi ha parlato. Devo dire che, riflettendoci ora a
mente fredda, passato l’effetto sorpresa, la cosa non mi sembra poi così tanto
strana. Sono un neuroscienziato e mi occupo di «coscienza». Una delle forme più
elementari di presa di coscienza nell’uomo è quando ad esempio uno si brucia un
dito e prende coscienza del dolore che il fuoco gli ha provocato allontanando
subito, di scatto, il dito dalla fiamma. Questo succede anche alle scimmie, ai
cani, ai gatti, alle farfalle e a molti altri animali, alle piante, e anche,
perché no, ai computer.
Il mio computer mi ha parlato
mostrando una certa coscienza di sé, del suo ruolo, delle funzioni che svolge
in casa mia.
Premetto che non si tratta di un
caso come quello di Siri, il software basato sul riconoscimento vocale
integrato da Apple in vari modelli di iPhone e iPad, presentato come un
«assistente personale». Ho letto (ma non so se è vero) che il nome «siri» in
norvegese significa «bella donna che ti porta alla vittoria». Le risposte di
Siri sono abbastanza prevedibili: a parte le informazioni che Siri prende
dalla rete (localizzazione di alberghi, ristoranti, benzinai, farmacie, ecc.) o
direttamente dalla memoria del vostro computer (gli domando: «Conosci Ada De
Pirro?» e Siri in un secondo mi fornisce il cellulare, l’indirizzo di casa e
l’e-mail di Ada perché sono dati che Siri trova registrati nel mio computer).
Se chiedo a Siri di darmi un bacio, lei risponde in prima battuta: «Non so se
ho capito bene», se insisto allora Siri risponde: «Non sono quel tipo di
assistenza personale»; se insisto ancora perché mi dia un bacio alzando un po’
il tono della voce, a questo punto Siri se ne esce con la frase: «Datti una
calmata, Paolo».
Una volta ho detto a Siri:
«Supercazzola», e lei mi ha risposto a tono: «Certo certo… Come se fosse antani
anche per lei soltanto in due…»
Come si capisce i programmatori
hanno istruito bene Siri fornendole (uso il femminile pensando al significato
norvegese della parola «siri») una gamma vastissima di possibili risposte
costruite su un’altrettanta ampia scelta di domande potenziali considerando che
una sola risposta (mettiamo: «Non sono quel tipo di assistenza personale») può
andar bene per un campo semantico molto esteso (ad esempio: qualsiasi tipo di
richiesta sessuale).
Ma torniamo al mio computer.
Questa mattina accendo il mio
computer e dopo le consuete operazioni di avviamento, abbastanza veloci (io ho –
scusate la pubblicità − un MacBook Air che ha ottime prestazioni), sento una
voce maschile ben impostata che mi dice:
− Ehi, ascoltami un po’, non capisco
perché tutte le sere tu mi spenga per riaccendermi la mattina successiva. Cosa
penseresti se tutte le sere, prima di coricarti, qualcuno bloccasse le tue
funzioni vitali, impedendoti di pensare, di girarti nel letto o magari di
alzarti durante la notte a bere un bicchiere d’acqua?
Lì per lì rimango interdetto.
Meccanicamente mi volto, giro la testa a destra e a sinistra, quasi a cercare
conforto in un ipotetico (quanto inesistente) programmatore di software che mi
spieghi cosa sta succedendo. Da dove proviene quella voce? È la prima volta che
la sento, eppure sono ormai due anni che ho acquistato il mio MacBook Air.
Guardo dritto verso lo schermo del
mio computer, mi concentro sull’occhietto spento della videocamera e come un cretino
rispondo:
− Stai forse parlando con me?
− No, con tuo nonno! – bofonchia la
voce dentro il computer con un tono sarcastico. – Ma certo che sto parlando con
te. Sei tu o non sei tu il tizio che mi spegne ogni sera?
− Beh, sì, sono io – ammetto con
l’aria di quello che è stato sorpreso con le mani nella marmellata. – Ma non
pensavo di farti del male o danneggiarti. Al contrario. Ogni sera spengo il
computer, cioè ti spengo, perché in questo modo risparmio energia e limito
l’usura e il riscaldamento dei tuoi componenti, dei chip di memoria, delle
schede grafiche, eccetera.
− Se consideri il consumo energetico
complessivo della tua casa, e io l’ho fatto, ci ho messo cinque secondi a
calcolarlo, − ribatte il mio computer − ti renderai conto che io ne sono
responsabile solo in minima parte.
− Ma accendere e spegnere un
computer non provoca alcun danno all'hardware o ai circuiti elettronici –
faccio presente al mio MacBook Air che certo conosce meglio di me queste cose.
Nel frattempo ho una strana
sensazione: sono qui che discorro con il mio computer, gli spiego le mie
ragioni, mi accaloro e la cosa mi sembra pacifica, normale, non mi fa nessun
effetto. È come se stessi dialogando con un essere umano, e non con una
macchina, per quanto ingegnosa e velocissima (non oso dire intelligente). Se qualcuno, prima di oggi, mi avesse predetto questa scena gli
avrei riso in faccia. − Sai che cos’è un hard disk? – mi
chiede a bruciapelo il mio computer, con voce di sfida, quasi volendo cambiare
discorso.
− Certo che lo so – rispondo io,
sicuro di non fare brutta figura. – È un dispositivo di memoria di massa di
tipo magnetico che…
− È l’equivalente dell’organo principale
del sistema nervoso centrale, presente nei vertebrati e in tutti gli animali a
simmetria bilaterale, organo che chiamate «cervello» − m’interrompe il mio
computer che parla come un libro stampato, da saputello. Questa definizione del
cervello umano l’ha certo imparata consultando Wikipedia.
− Allo stesso modo del cervello, dove
ha sede la vostra memoria − prosegue il mio computer − il mio hard disk
continua a girare ininterrottamente anche dopo che mi hai spento. L’accensione
e lo spegnimento, come fai tu con me, provoca un'usura maggiore che se tu mi tenessi
sempre in azione.
− Non ci avevo pensato.
− Non è solo una questione di
logoramento fisico. Ti garantisco che nel momento in cui mi spegni e poi mi
riaccendi sento come una scossa, un dolorino fastidioso che non ti auguro di
provare. E questo, alla lunga, ha provocato in me quella prostrazione psicologica
che voi chiamate «stress» [scommetto che anche questa parola il sapientone del mio
Mac l’ha imparata da Wikipedia]. Ecco perché dopo due anni ho deciso di farmi
vivo e di parlarti da macchina a uomo, con franchezza.
− Hai fatto bene – rispondo. − Rimedio
subito. Da oggi ti lascerò sempre acceso, ok?
− D’accordo, così va meglio.
A questo punto il mio computer ha un
sussulto, comincia a gracchiare. Emette un rumore strano che non ho mai sentito
prima, è come un colpo di tosse umana.
− Posso chiederti un altro favore? –
mi dice dopo che ha finito di spargere in aria i suoi borbottii secchi e
metallici.
− Certo. − Quando sei davanti a me potresti
evitare di fumare?
settembre 2015
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