Paolo Albani
NOTA METODOLOGICA
al libro I mattoidi italiani, Quodlibet 2012


            Presentando nel lontano 1988 un piccolo e gustosissimo catalogo antiquario sui «Folli letterari», Alfredo Giuliani lamentava che in Italia non ci fosse «prova di ricerche bibliografiche sugli scritti eterocliti», come quelle intraprese – aggiungo io - da Raymond Queneau e dal suo allievo André Blavier, circoscritte a testi francesi e belgi, auspicando che «qualche patafisico esploratore della sconfinata illetteratura di casa nostra» si mettesse al lavoro per colmare la lacuna.
        Auspicio quanto mai opportuno perché sui «folli letterari» esiste in Italia una quantità considerevole di materiale interessante, ancora in parte inesplorato. A cominciare da quello archiviato dal medico alienista e antropologo Giuseppe Amadei (1854-1919), in un certo senso un precursore di Queneau. Infatti verso la fine del secolo XIX (quindi molto tempo prima della ricerca sui «folli letterari» di Queneau iniziata a partire dal 1930) Amadei studia da psichiatra la «letteratura dei pazzi» e raccoglie, con un lavoro durato parecchi anni, grazie all’aiuto di egregi amici e specialmente per il «generoso e copioso contributo» di Cesare Lombroso, una collezione (oggi consultabile presso la Biblioteca Classense di Ravenna) preziosa e unica di opere stampate di mattoidi e paranoici che Amadei chiama «mattoidi scientifici». Queste opere trattano «di filosofia e cosmologia, di teologia e questioni religiose, di scienze politiche e sociali, di scienze giuridiche, di scienze mediche, di psicologia, psichiatria, educazione, di filologia, di storia naturale, di fisica, di astronomia, di meteorologia, fisica terrestre, agricoltura, di matematica, di meccanica».
      
Per compilare la nostra raccolta, solo un piccolo campione in un mare di autori italiani eccentrici per lo più sconosciuti, abbiamo adottato la definizione di «folle letterario» data da Queneau ne Les enfants du limon (1938): «Un autore edito le cui elucubrazioni (non uso il termine in senso dispregiativo) si allontanano da tutte quelle professate dalla società in cui vive, sia da tale società nel suo insieme, sia dai diversi gruppi, benché minimi, che la compongono, elucubrazioni che non rimandano a dottrine anteriori e che non hanno avuto eco alcuna. In breve, un “folle letterario” non ha né maestri né discepoli».
    In seguito, per evitare che fossero confusi con gli alienati, ovvero con i pazzi dei manicomi, Queneau preferì chiamare questi autori «eterocliti», termine un po’ astruso che lo Zingarelli spiega con «anormali, inusitati». Lo stesso vale per i «mattoidi» di questo volume, il primo nel suo genere in Italia: nessuno di loro, ci preme sottolinearlo, ha mai varcato la porta di un manicomio (da qui la nostra preferenza per il termine «mattoide» invece di «pazzo» o «folle»), per quanto a volte certe elucubrazioni facciano pensare a soggetti completamente «fuori di testa».
    Una figura vicina al «folle letterario» queniano e al «mattoide scienziato» di Amadei è l’«autore di Quarta Dimensione», termine coniato da Umberto Eco per indicare quegli autori che pubblicano a proprie spese, presso case editrici (oggi presenti anche sul web in forma di siti che offrono e-book fai-da-te) specializzate nello sfruttamento di talenti giustamente incompresi. Nella classificazione di Eco la Prima Dimensione è quella dell’opera manoscritta, la Seconda Dimensione quella dell’opera pubblicata da un editore serio e la Terza Dimensione quella del successo. Eco ha raccolto una piccola bibliotechina di autori a proprie spese che, passati molti anni, ha ormai tutti i titoli per entrare nel mercato antiquario. Uno dei suoi pezzi più preziosi, dice Eco, è il Dizionario biografico di personaggi contemporanei di Domenico Gugnali, pubblicato a Modica dall’editore Gugnali, senza indicazione di data. Qui, prima della voce «Pavese Cesare», esatta e sobria, appena cinque righe e mezza, troviamo quella, molto più lunga, quasi sedici righe, dedicata all’uomo di penna e di lettere «Paolizzi Deodato», autore del romanzo Il destino in marcia che ha riscosso il favore del pubblico (Umberto Eco, «L’industria del genio italico», in Valerio Riva, a cura di, L’Espresso 1955-’85. 30 anni di cultura, parte seconda, Editoriale L’Espresso, Roma, 1985, pp. 29-47).
    Di potenziali «autori di Quarta Dimensione» si è occupato anche Giorgio Manganelli in «Scrittori», recensione a un curioso volume curato da Alcide Paolini e Carlo della Corte La mistificazione (Sugar 1961), uno sconcertante panorama dell’incultura, del sottobosco letterario, una sorta di antologia negativa di lettere, suppliche, componimenti, poesie, brani di romanzi e racconti di aspiranti scrittori (uscita sul numero 9 dell’Illustrazione italiana del settembre 1961, la recensione di Manganelli è stata ripubblicata sul numero 25 della rivista Riga, dedicato a Manganelli, a cura di Marco Belpoliti e Andrea Cortellessa, Marcos y Marcos, Milano, 2006, pp. 134-140).
    Volendo restare fedeli alla definizione queniana di «folle letterario», abbiamo dovuto escludere dalla nostra ricerca alcuni personaggi bizzarri, strampalati che tuttavia nel loro campo hanno avuto una certa fama e schiere di discepoli, come ad esempio Davide Lazzaretti (1834-1878), detto il «profeta dell’Amiata», fondatore dell’«Opera della Chiesa Universale Giuris-davidica della SS. Trinità di Dio», i cui adepti nella zona del Monte Amiata e in Maremma continuano tuttora a perpetuare l'utopia socialista e religiosa del loro capo spirituale, oppure Cesare Mattei (1809-1896), inventore di una nuova terapeutica sperimentale chiamata «elettro-omeopatia»: ancora oggi nel mondo si vendono le sue boccettine miracolose contenenti una medicina erboristica segreta (qualcuno malignamente insinua trattarsi di semplice acqua zuccherata); la terapia di Mattei è talmente famosa che si trova citata nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij, e forse vi ricorse anche Arthur Rimbaud come si può desumere da un paio di lettere di Isabelle, sorella del poeta francese.
    Un’altra esclusione, per ovvi motivi di sensibilità e di riguardo verso persone che in molti casi non nascondono un’alta considerazione delle proprie stralunate opere, concerne i «mattoidi» italiani ancora viventi.
Abbiamo inoltre tralasciato quelli troppo oscuri, impenetrabili, la cui ermeticità si pone come una barriera invalicabile alla comprensione del testo. Un esempio per tutti. In Teismo e monismo di fronte, pubblicato a Cagliari nel 1955, il linguaggio usato per più di cento pagine da Eulogo D’Armi è di questo tenore: «Si può affermare che SOLO SE LA SOMIGLIANZA NON DERIVI DA INDIFFERENZA C’È BISOGNO DI DIO: soltanto tra unici un primo deve porre gli altri, mentre se sorgano dall’indifferenza non saranno unici e solo principio sarà essa».
    In genere, fra quelli antologizzabili, abbiamo privilegiato gli autori prolifici, con una bibliografia cospicua, segno in un certo qual modo di un convincimento e di una passione ammirevoli.

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