Paolo
Albani
IL PARAVENTO
Era un maniaco dell’isolamento,
un vero e proprio cultore
dello starsene
in solitudine.
Gli venne perciò l’idea di costruirsi un piccolo paravento da
tavolo, portatile, formato da un telaio in legno, sottile e leggero, su
cui erano applicate delle strisce di stoffa blu che ricordavano, nel
disegno,
i batik indonesiani.
In genere usava il paravento la mattina a colazione e durante i pasti
per non farsi vedere dalla moglie e dalla figlioletta di dieci anni, in
realtà per tenerle a distanza perché erano due tremende
chiacchierone
che, a tavola, non la finivano mai di subissarlo di domande stupide, di
sollevare discussioni inutili, cavillose da cui lui per altro non
sapeva
come tirarsi fuori.
A casa si serviva del paravento anche in altre circostanze: quando
leggeva il giornale o si appisolava in poltrona, o quando disponeva le
carte su un tavolino da gioco con il panno verde per farsi un
solitario,
e persino a letto, prima di addormentarsi, ascoltando il notturno
musicale
alla radio con l’auricolare, mentre la moglie, al suo fianco,
già
russava ferocemente.
Il ricorso al paravento era diventata per lui una piacevole
consuetudine:
appartato, lì dietro, si sentiva in pace con se stesso, protetto
come in una botte di ferro, al riparo, per quanto gli riusciva, dalle
preoccupazioni
quotidiane, e anche più libero mentalmente.
Il paravento, composto da quattro pannelli rettangolari, si ripiegava
a fisarmonica, di conseguenza era facile da trasportare. E infatti lui
se lo portava dietro ovunque, sottobraccio. Lo metteva addirittura
sopra
la scrivania dell’ufficio in cui lavorava, suscitando il sarcasmo dei
colleghi
che, di fronte a quella stranezza, si divertivano a prenderlo in giro.
A volte capitava che un collega, per scherzo, gli lanciasse dietro il
paravento
un aeroplanino di carta o una matita. Ma lui non ci badava, e
continuava
a lavorare, imperterrito.
Ormai non riusciva più a separarsi dal suo paravento; lo apriva
dappertutto, felice.
In treno ad esempio se lo sistemava comodamente sulle ginocchia
così
da evitare noiose conversazioni con gli altri viaggiatori che di
solito,
increduli, lo guardavano ritirarsi dietro il paravento immaginando che
avesse un difetto fisico di cui si vergognava o magari una qualche
malattia
infettiva. «Forse appartiene a una setta religiosa e quello
è
il loro modo di pregare», disse una volta un giovane rivolto al
controllore
del treno.
Si portava con sé quel piccolo divisorio anche le poche volte
che andava in trattoria, da solo naturalmente, perché la moglie
e la figlioletta si rifiutavano di sedersi allo stesso tavolo con lui,
che, nascosto dietro il paravento, tranquillo, senza farsi vedere, dava
gli ordini al cameriere e mangiava facendo un rumore fastidioso con la
bocca, un biascichio che si sentiva per tutto il locale.
marzo 2008
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