Paolo Albani
UNA QUESTIONE COMPLESSA


    Perché ci affacciamo alla finestra? Cos’è che ci spinge a guardare fuori da una finestra che si affaccia su una strada, un cortile, una piazza, sulla campagna aperta o in certi casi sul mare? È un problema spinoso che mi sono posto tante volte senza però riuscirvi mai a dare una risposta persuasiva, soddisfacente.
     Mi rendo conto che, data la complessità del fenomeno (si sbagliano di grosso coloro che pensano che l’«affacciarsi alla finestra» sia un evento banale, di routine e dunque perfettamente spiegabile), non è facile rispondere a una simile domanda perché implica una serie di connessioni, di rimandi, di intrecci fra elementi diversi e aspettative, a volte contraddittorie, che non sempre si è in grado di cogliere in tutte le sfumature, di far interagire fra loro. E si rifletta bene: qui stiamo trattando non del problema legato alla pura e semplice apertura di una finestra, gesto che di per sé potrebbe essere dettato da un elementare bisogno di aereazione del locale cui appartiene la finestra che viene dischiusa; non è il gesto meccanico, preso isolatamente a interessarci, bensì l’apertura della finestra cui fa séguito lo sguardo di colui che la apre sullo spazio che gli si offre davanti, è l’«affacciarsi» come mera esplorazione verso l’esterno, come indagine di ciò che appare oltre la finestra aperta, che ci preme sviscerare e comprendere.



     Comunque sia cercherò un po’ alla meglio di formulare una risposta sulla base di una riflessione che ho fatto sull’argomento in questi ultimi giorni.
     In sintesi io credo che siano due i motivi di fondo per cui ci affacciamo alla finestra, uno di tipo pratico e l’altro di tipo esistenziale.
      Il primo motivo, quello pratico, è legato a circostanze conoscitive: suonano alla porta e, stando al piano di uno stabile che si affaccia sul portone dove c’è la pulsantiera e non avendo il citofono (sono numerosi gli stabili che non lo hanno), uno si sporge dalla finestra per vedere chi è, prima di aprire la porta che è un’operazione, quando non esiste uno spioncino, non sempre raccomandabile di questi tempi; oppure si sente un gran rumore per strada, uno scoppio di gomma, un grido o uno sferragliare di lamiere o un suono ripetuto e fastidioso di clacson e allora ci si affaccia alla finestra per accertarsi dell’accaduto, per vedere chi è lo stronzo maleducato che suona a quel modo, o se ci sono dei feriti, se qualcuno si è fatto male in un ipotetico incidente e magari ha bisogno del nostro aiuto. Un altro motivo pratico può essere legato all’arrivo di una persona che stiamo aspettando con impazienza, il postino ad esempio o un amico, un idraulico o un elettricista che devono farci una riparazione: in questo caso ci affacciamo alla finestra per verificare che la persona attesa sia nei paraggi e non sbagli indirizzo; dalla finestra possiamo segnalargli il portone giusto, per non fargli perdere tempo. Naturalmente va tenuto conto che l’«affacciarsi alla finestra» sarà tanto più attuabile quanto più intervengono determinati fattori ambientali e fisici: voglio dire che l’apertura di una finestra dipende anche dalla stagione in cui suonano alla porta, d’inverno come s’intuisce facilmente la propensione a aprire una finestra sarà più contenuta, come pure sarà meno frequente e più problematica, in giorni particolarmente gelidi, quando si tratti di soggetti in età avanzata, più sensibili alle correnti d’aria fredda per paura di prendersi un malanno. Già da questa prima ricognizione si vede, a dispetto di coloro che sono portati a semplificare le cose, quanto ampio e articolato sia il raggio delle motivazioni, pratiche in questo caso, che ci spingono a mettere il naso fuori di una finestra, va da sé dopo che l’abbiamo regolarmente aperta.
   Il secondo motivo, che abbiamo definito di tipo esistenziale, investe una dimensione psicologica, e perciò stesso incerta e suscettibile di interpretazioni discordanti, a seconda delle scuole di pensiero che si approcciano al problema. Se non è una molla che nasce da esigenze pratiche, come quelle descritte in precedenza, perché ci apprestiamo a aprire una finestra per osservarne l’altrove che ci sta di fronte o sotto se abitiamo al primo piano di uno stabile o ancora più in alto? Che cos’è che ci porta a questo gesto in apparenza semplice che tuttavia può nascondere motivazioni inconsce e inconfessabili? In questo caso dobbiamo ricordare che l’osservatore che apre la finestra sa bene cosa lo aspetta davanti a sé, ovvero quello che vedrà oltre la finestra, e cioè la solita strada, il solito giardino, il solito caseggiato con i terrazzi tutti uguali, i soliti negozi, in breve il solito scenario: ciò che cambia ogni volta che l’osservatore si affaccia alla finestra saranno le persone e le macchine (se non è una strada chiusa al traffico) che transitano da lì nel preciso istante in cui l’azione di aprire una finestra si compie (se ci affacciamo nelle prime ore di un pomeriggio d’estate è probabile che ci saranno poche persone e poche macchine), ma la cornice sarà sempre la stessa, il panorama che la visuale della finestra spalancata mostrerà non cambierà per nulla, sarà in tutto e per tutto identico a quello che ci appare ogni giorno. Questa è una premessa importante, da non sottovalutare, se vogliamo cercare di capire il perché ci prendiamo la briga di aprire una finestra, quando non siamo spinti da ragioni pratiche, e ci affacciamo per guardare fuori.
     Dopo aver riflettuto a lungo in questi giorni sono arrivato alla conclusione che la stragrande maggioranza delle persone, salvo qualche rara eccezione (una signora, quando può, mangia la frutta appena lavata, specialmente l’uva, affacciandosi alla finestra per non sgocciolare sul pavimento; un tale guarda i tramonti di un rosso-viola dalla finestra di casa sua che dà sul mare; ecc.), la stragrande maggioranza delle persone, dicevo, sta affacciata alla finestra perché si annoia e non sa cosa fare, e ciò dipende dal fatto che le persone per lo più sono sole, ovvero, anche se convivono con qualcuno, è come se lo fossero, e si sentono sole nell’appartamento da cui spiano il mondo attraverso la finestra e ogni tanto nell’arco della giornata, per ingannare il tempo e vincere la solitudine, si affacciano a una finestra, in genere sempre la stessa (a volte c’è chi mette sul davanzale della finestra un cuscino per stare più comodo), sperando di vedere qualcosa di nuovo, un evento imprevisto, un fatto diverso dal solito come una persona che inciampa e cade per terra e si rompe il femore, uno scippo, un incidente automobilistico o, Dio lo volesse, un efferato omicidio, attesa che quasi sempre viene delusa perché, dalla finestra che hanno aperto e da cui si affacciano, quelle persone vedono più o meno sempre le stesse cose, tutti i giorni, salvo qualche trascurabile dettaglio. È triste doverlo constatare, ma purtroppo la realtà di coloro che, senza una finalità pratica, si affacciano alla finestra è questa, e lo dico, non soltanto sulla base della riflessione che ho fatto sul fenomeno, ma anche e soprattutto per esperienza personale.

luglio 2013




Questo testo, con il titolo "Perché ci affacciamo alla finestra?", è uscito sul numero 72/73 de il Caffè illustrato, maggio-agosto 2013, pp. 6-7.
Per l'indice dei miei contributi a il Caffè illustrato cliccate qui.


Si trova anche nel mio libro intitolato Fenomeni curiosi,
eBook pubblicato da Quodlibet nel 2014.



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