Paolo Albani
LA MIA SEDIA

 

            Oggi, dopo tanto (troppo) tempo, ho pulito la sedia del mio studio con un liquido sgrassante e un panno cattura-polvere. È una sedia in pelle rossa, con i braccioli di plastica dura a forma di quadrato sbilenco, ossia di rombo, e le rotelline che la rendono, a comando, un oggetto docilmente mobile. L’ho comprata in un negozio di mobili per uffici, verso la fine del 1998. Ancora ci sono affezionato.

            Mentre pulisco la sedia, penso:

 

«Mia cara, vecchia sedia, mi fa piacere pulirti, sai, tu che per molti anni (ormai saranno più di quindici) hai sopportato il peso del mio largo e flaccido culo, che hai dovuto vedertela con lui vis à vis, ingentilirlo, accudirlo giorno e notte a costo di creare al centro del tuo sedile di pelle un piccolo, doloroso avallamento, testimone del sopruso che hai patito, eroicamente, a qualsiasi ora, per intervalli anche lunghi (ricordo le interminabili sedute stravaccato su di te quand’ero impegnato a scrivere L’aggiunta, il mio primo romanzo, 435 pagine), intervalli estenuanti, immagino, per le tue forme».

 

            Spruzzo lo sgrassante che ha un buon odore di limone, muovo il panno con una rotazione pigra e mi viene in mente, per un cortocircuito prevedibile, che nell’autunno del 1970 su «il Caffè», rivista letteraria e satirica fondata da Giambattista Vicari, esce una breve inchiesta sulla Letteratura a sedere, condotta da Guido Ceronetti cui partecipano Italo Calvino, Giorgio Manganelli e Goffredo Parise. Nella nota introduttiva Ceronetti cita il De valetudine litteratorum di Samuel-Auguste Tissot (1728–1797), medico svizzero, membro della Royal Society, in cui si imputano tutte le sventure fisiche dei letterati all’inattività eccessiva del corpo, in particolare allo star seduti. In una lettera alla figlia, Madame de Sévigné (1626-1696) ribadisce lo stesso concetto: «Quasi tutti i nostri mali vengono dallo star sulle sedie» (testualmente: «d’avoir le cul sur la selle»).

            Sempre nell’inchiesta apparsa su «il Caffè», Calvino riconosce che lo star seduti è certamente un male, ma anche andare a cavallo – precisa – non è certamente igienico. Letterati e cavalieri hanno in comune, tra le altre cose, il costringere il corpo a una innaturale posizione. Comunque, è sempre meglio star seduti che stare in piedi e farsi venire le vene varicose. Passando gran parte della mia vita fermo a una scrivania, − scrive Calvino – la forma che mi sarebbe più comodo assumere è quella del serpente, che distribuisce il suo peso uniformante su tutto il corpo, anche se, disponendo solo della coda per tutte le operazioni manuali (digitazione, dattilografia, uso di opere di consultazione, contare sulle dita, mangiarsi le unghie, ecc.) un me-stesso-serpente vedrebbe diminuire le sue capacità fisico-mentali. E allora – conclude Calvino – la forma perfetta sarebbe quella del polpo o della piovra, che possiede una grande versatilità locomotoria-prensile-positurale; oltre tutto i polpi possono benissimo guidare l’automobile. Il mondo che abbiamo costruito è fatto a immagine e somiglianza dei polpi, abbiamo lavorato per loro.

            Prendo atto una volta di più che tutti si spendono dietro le afflizioni fisiche dello scrittore, homo sedentarius per antonomasia; nessuno che parteggi per le inaudite angherie posturali che la sedia sopporta. Non è giusto.

            Continuo a pulire la mia sedia, ci sono delle incrostazioni di grasso abbastanza resistenti anche sui braccioli, devo forzare un po’ la mano per portarle via, allo stesso tempo provo a immaginarmi un polpo seduto qui davanti al mio computer, con i suoi occhioni spenti, che batte sulla tastiera allungando i tentacoli che si assottigliano nella parte terminale e hanno, ciascuno, una doppia fila di ventose; è velocissimo a battere a macchina, più di una dattilografa professionista che pure ha dieci dita, due in più dei tentacoli del polpo, ma non la sua scioltezza e la sua precisione.

            La vera dote del polpo non risiede tuttavia nella velocità di battitura, anche se questa è da non prendere sotto gamba, insieme alla sua maestria nel cambiare colore rapidamente per mimetizzarsi e comunicare con i suoi simili.

            Non so quanti siano a conoscenza del fatto che il polpo ha tre cuori, uno principale e due minori (sto semplificando), però sempre di tre cuori si tratta. Tenendo conto di questa caratteristica polpesca, se è in grado di battere a macchina, oltre che guidare l’automobile, come sostiene Calvino, mi chiedo che cosa possa scrivere un polpo con velleità letterarie, una volta accomodatosi sulla mia sedia che ora, dopo l’intervento di pulitura, sta tornando all’antico splendore estetico-funzionale.

            Ammesso che il polpo abbia una minima infarinatura della letteratura di genere (in modo da evitare scopiazzature), letteratura che spazia dai romanzi d’avventura dove polpi o piovre giganti seminano il terrore in mari tempestosi fino al recente Un polpo alla gola di Zerocalcare, considerando poi che il cuore, non solo nell’uomo, è l’organo da cui s’irradiano le emozioni e i buoni sentimenti (si parla dei moti, della voce, dei palpiti del cuore), e visto, come abbiamo già detto, che il nostro tentacolare mollusco cefalopode di cuori ne ha in sovrappiù, ossia tre, non è difficile supporre che al polpo piaccia scrivere storie romantiche, strappa lacrime, che sia un autore di romanzi rosa, un Liala degli abissi marini.

            Finisco di passare il panno sulla mia sedia, sono soddisfatto perché vedo che è tornata come nuova. Adesso posso rimettermi al lavoro. Lo faccio vincendo una piccola fobia (e chi non ne ha, specie fra gli scrittori): non riesco a lavorare al computer se c’è qualcosa che non è a posto, se ci sono, ad esempio, dei piatti sporchi nel lavandino di cucina, se il letto di camera mia non è rifatto, se le tende delle finestre non sono tutte chiuse alla perfezione, se ci sono dei libri fuori scaffale, se le matite parcheggiate sulla mia scrivania non sono tutte nel loro contenitore, se c’è un quadro storto alla parete, se ho le scarpe slacciate, se gli occhiali sono appoggiati sbadatamente dalla parte delle lenti, se l’orologio da tavolo che ho a lato del mio computer non segna l’ora giusta, eccetera.

            La mia sedia ora è pulita (uno dei motivi che m’impediva di tornare al lavoro) e finalmente posso dedicarmi alla stesura del mio nuovo romanzo che non so ancora che sviluppo prenderà e come andrà a finire, non ho le idee chiare al riguardo, ho scritto appena una ventina di pagine, però gli ho già trovato un bel titolo, così almeno mi sembra: L’uomo che aveva tre cuori (come il polpo).

 

giugno 2016
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