CADERE IN DISGRAZIA Se c’è una cosa che mi fa paura, che temo di più nella vita, almeno in questo periodo, è cadere in disgrazia. Non credo sia una paura solo mia. L’incertezza del futuro riguarda un po’ tutti, o quasi, penso. Quando
vedo un barbone per strada o sulla panchina di un giardino pubblico o di una
stazione, sdraiato su dei cartoni sporchi, mi viene da pensare che quello lì
non è sempre stato un barbone, non è nato mica barbone come si nasce bianchi o
neri, con i capelli rossi o biondi, si è ridotto così nel tempo; a un certo
punto della sua vita è caduto in
disgrazia, le cose gli sono girate male, ha fatto un passo falso, un errore
di valutazione, forse un investimento sbagliato e piano piano, senza
accorgersene, la sua vita è cambiata, vertiginosamente, e in peggio, è caduto in disgrazia e si è trovato per
strada a fare il barbone, senza più casa né soldi né amici, niente, abbandonato
a se stesso. Ho letto delle statistiche che dicono che in Italia una grande percentuale di barboni, prima di ridursi così, erano delle persone istruite, anche laureate (come me che mi sono laureato in Psicologia con 110 e lode), con un buon impiego, una moglie e dei figli e un conto in banca. Poi hanno perso tutto, sono cadute in disgrazia appunto e da quel momento in poi hanno cominciato a vivere in strada, si sono lasciati crescere la barba e i capelli, non si sono lavate più e hanno preso a vestirsi sempre con gli stessi indumenti sdruciti, frusti; è per questo che i barboni, quando gli passi accanto, emanano un odore che ti allontana. C’è un barbone nella mia strada che chiede l’elemosina a poche centinaia di metri dalla mia abitazione, di fianco a una chiesa sconsacrata. È apparso lì, sul marciapiede, dal nulla, due anni fa. Praticamente lo vedo quasi tutte le mattine, quando esco per andare al lavoro. Ha l’aria di uno che non ci sta troppo con la testa, lo sguardo melanconico (non credo sia alcolizzato, però, non ha il tipico arrossamento sulle gote e sul naso dei bevitori), il volto è pieno di rughe, la barba lunga, i capelli sono sempre in disordine e ha due grandi borse sotto gli occhi azzurri dentro i quali, a dispetto delle apparenze, di un fisico malnutrito, brilla un guizzo di distaccata serenità, di beatitudine, che sorprende. A vederlo sembra che abbia 50, 55 anni, ma potrei anche sbagliarmi perché, ridotto com’è, forse dimostra più anni di quanti ne ha realmente. Un giorno, dopo avergli dato qualche spicciolo, mi sono messo a chiacchierare con lui. La sua presenza quotidiana m’incuriosiva. All’inizio vedevo che era diffidente, e non lo biasimavo per questo. Immagino si sarà detto: «Che va cercando da me, questo ficcanaso?» Poi, piano piano, ha cominciato a aprirsi. Mi ha raccontato un po’ di cose della sua vita, insomma siamo entrati in confidenza. Ogni tanto gli offro un caffè nel bar che sta proprio di fronte al punto dove chiede l’elemosina. Federico, così si chiama il barbone della mia strada, ha dei modi pacati, si sente che è una persona istruita. Mi ha detto che prima di ridursi in quello stato faceva il ragioniere in una ditta di import-export nel centro di Bologna, che sua moglie, francese, fa la casalinga e che ha un figlio che non vede ormai da un sacco di anni perché si è trasferito a Lione, in Francia, presso dei parenti della moglie. Lui, Federico, aveva il vizio dei cavalli e si è giocato tutti i soldi, gli stipendi e i pochi risparmi, con le scommesse sui cavalli (giocava anche su internet), fino a quando la moglie non l’ha cacciato di casa, e ora vive sulla strada. Gli ho chiesto come fa per vivere. Federico mi ha risposto che un po’ si arrangia con le elemosine, che però sono una miseria, uno non ci può campare con le elemosine, e devi pure stare attento al racket dei mendicanti, che con quelli non si scherza, ci mettono poco a tagliarti una mano o un piede. Per dormire dorme nei Centri di accoglienza notturni (a Bologna ce ne sono diversi, molto puliti) e va a mangiare a una delle tante mense dei poveri dove si mangia bene, mi ha detto, specie quando ci sono le lasagne o i tortellini al sugo di carne; i volontari sono gentili e hanno sempre il sorriso sulle labbra. − Sai cosa non mi manca della precedente vita? – mi ha detto una volta Federico mentre prendevamo un caffè. − Cosa? − Non sento per nulla la nostalgia delle scadenze. − Cioè? – gli chiedo. − Sì, le scadenze, voglio dire le bollette da pagare, le rate del mutuo, il rinnovo delle carte di credito, e poi mettici in più le riunioni di condominio, che palle, i colloqui mensili con i professori di mio figlio, la revisione della macchina, la pulizia dei denti, il controllo dei fumi della caldaia, le grigliate domenicali con i parenti, le vacanze programmate e tante altre stronzate di scadenze. Senza considerare la scadenza delle scadenze, la madre di tutte le scadenze… − Quale? − Le scopate con mia moglie, − ridacchia Federico prendendo fiato − perché lei almeno una volta alla settimana, di preferenza il sabato sera, che il giorno dopo è festa e puoi alzarti all’ora che vuoi, lei il sabato sera, tutti i sabato sera voleva… insomma hai capito, no? E a me, quando arrivava il sabato sera, giuro, mi veniva un’angoscia pensando a quell’obbligo… Mi ha colpito questa storia delle scadenze. Non lo so, forse ha toccato un mio nervo scoperto, in ogni caso mi ha fatto riflettere, in positivo. Da qualche tempo io e Federico ci frequentiamo più assiduamente. A volte, quando finisce di chiedere l’elemosina, lo aspetto al bar di fronte per fare due chiacchiere e ci prendiamo il solito caffè. Qualche volta paga lui e non vuol sentire storie, altrimenti fa finta di arrabbiarsi: − Oggi ho tirato su 21 euro, sono ricco e posso permettermi di pagarti un caffè – dice soddisfatto. Se non ho impegni di lavoro, accompagno Federico alla mensa dei poveri e già che ci sono, tanto nessuno ci controlla, mi fermo a mangiare con lui e posso confermare che le lasagne che distribuiscono alle mense dei poveri di Bologna sono proprio buone, da leccarsi i baffi. Due o tre volte alla settimana, quando sono fortunato e riesco a prenotare (preferibilmente scelgo il fine settimana), dormo in un Centro di accoglienza notturno e così io e Federico continuiamo le nostre chiacchiere, prima di addormentarci. Mi
fa bene trascorrere gran parte del mio tempo libero insieme a Federico, è un
compagno piacevole, discreto, anche se (ma questo non glielo mai detto) sarei contento
si lavasse un po’. Adesso, grazie a lui, la mia paura di cadere in disgrazia si è ridimensionata.
settembre 2015
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