IL CAMBIAMENTO Io
sono cambiato, questa è la verità, una verità
amara che mi porta a suffragare l’ipotesi, altrettanto sconfortante, che
io non sono più io. Mi guardo allo specchio e dico: «Ma
chi è quello lì? Di certo non sono io». Non mi
riconosco nell’immagine riflessa nello specchio, nel tizio raffigurato
nello specchio che si guarda in modo interrogativo, con un’aria
vagamente persa, e che fa le stesse cose, gli stessi movimenti che
faccio io: se mi gratto la testa si gratta la testa anche lui, se tiro
fuori la lingua anche lui, il tale riflesso nello specchio, tira fuori
la lingua che è una bella lingua carnosa, con della patina bianca
sopra, che a prima vista si potrebbe scambiare per la mia lingua. Di
certo, tuttavia, quel tipo non sono io, lo sento a livello di pelle,
istintivamente.
![]() Sarà capitato anche voi che, incontrando qualcuno per la prima volta, vi venga spontaneo pensare: «Che faccia antipatica, questo dev’essere proprio un coglione. Una persona insopportabile». Ecco, più o meno la stessa cosa succede a me, da qualche tempo, ogni volta che mi guardo allo specchio. Ma non è tanto una questione di giudizio negativo, di parere sprezzante sul tale riflesso nello specchio, che nella fattispecie dovrei essere io, anche se a me non risulta. No, non è questo il problema. Forse mi sono espresso male. Credo sia abbastanza comprensibile che uno, se ha perso la fiducia in se stesso e magari si trova in un momento di depressione o di sbandamento esistenziale, sia portato, guardandosi allo specchio, a definirsi nei modi meno lusinghieri, a esprimere valutazioni catastrofiche sulla propria persona: «Fai schifo, hai una faccia di merda». Quello che succede a me è una cosa completamente diversa, più inquietante, spiazzante, che mi crea non poca apprensione. Mi guardo allo specchio e non mi riconosco (e non c’entra niente il fatto che mi sento invecchiato più del normale negli ultimi tempi); non mi riconosco in tutti i sensi, anche fisicamente, nei tratti somatici, nei lineamenti del volto, nella geometria irregolare del naso o nei capelli corti imbiancati. Ho la netta impressione, la sensazione più che evidente che la persona riflessa nello specchio non sono io, ma un’altra persona, una persona che non conosco affatto, che ignoro chi sia, che non ho mai visto prima d’ora. Spero di essermi spiegato bene, adesso. Sarà un fatto di doppia personalità? Sono forse vittima di allucinazioni visive? Non lo so. Non m’intendo di queste cose. Sono andato da quello che suppongo sia il mio medico curante e gli ho raccontato ciò che mi sta accadendo. Lui mi chiede: − Se non ho capito male lei vede nello specchio un’altra persona, è così? − Sì, esattamente – rispondo al mio medico curante. − E quest’altra persona che lei vede riflessa nello specchio non le ricorda nessuno? Non le fa venire in mente qualcuno che lei conosce o che ha conosciuto anche in passato, un vecchio amico, un parente, qualcuno con cui ha avuto dei problemi? Suo padre da giovane, per esempio. Provi a fare uno sforzo con la memoria. − Nessuno – rispondo io con sicurezza. – È un perfetto estraneo per me. Continuiamo la conversazione per un altro quarto d’ora. Le domande si fanno sempre più generiche, dispersive. Mi rendo conto che il mio medico curante è in difficoltà, non riesce a venire a capo di niente, del resto lui è un medico generico, penso che nel mio caso ci vorrà un neurologo, uno specialista che studia le patologie del sistema nervoso. E di fatti, alla fine, il mio medico curante mi dice che dovrò farmi vedere da un neurologo e mi indica il nome di un bravo specialista e mi dà anche l’indirizzo e il numero di telefono dello studio di questo neurologo. Mi prescrive la richiesta per la visita e mi congeda. − Mi faccia sapere com’è andata non appena avrà fatto la visita, mi raccomando. Arrivederci signor Albani, buona giornata. − Come ha detto, scusi? − Ho detto mi tenga informato degli sviluppi. − No, scusi, come mi ha chiamato? − Signor Albani. Lei è Paolo Albani, no? − Non ho la più pallida idea di chi sia Paolo Albani. Lei di sicuro mi sta confondendo con un altro paziente. − Ma sta scherzando, signor Albani. La conosco almeno da dieci anni. Ho qui la sua cartella medica. Ricordo benissimo la prima volta che venne da me, accompagnato da suo fratello Riccardo. − Mi scusi, dottore, ma lei si sta sbagliando, può succedere quando uno ha tanti pazienti come immagino che lei abbia. Io non ho nessun fratello di nome Riccardo, mi creda. − Ha forse un fratello gemello? − No, nessun fratello, tanto meno gemello, o sorella. − Ma allora lei chi è? Come si chiama, scusi? − Bella domanda. Sono venuto da lei nella speranza di scoprirlo. Ho trovato il suo nominativo nell’agenda infilata nel taschino della mia giacca… Confidavo avrebbe potuto aiutarmi. Perché vede, non vorrei ripetermi e sembrarle monotono, ma quando mi guardo allo specchio non mi riconosco più, vedo un’altra persona e allora… maggio 2016 ____________________________________________
Per andare o tornare al menu dei miei racconti-bonsai cliccate qui.
HOME PAGE TèCHNE RACCONTI POESIA VISIVA |