Paolo Albani
L'IMPORTANZA DEL COGNOME

         Il cognome Ignoti non è così raro come si potrebbe immaginare. Esistono diversi Ignoti sparsi nel mondo, più che altro in Europa. Se non ci credete fate una piccola ricerca su Google, e ve ne accorgerete. Ad esempio scoprirete che c'è un poeta francese contemporaneo, Francesco Ignoti, che scrive poesie in molti casi dal titolo strano come «Le pigeon est toujours dans la haie» (Il piccione è sempre nella siepe), che sembra uno di quei messaggi in codice che trasmetteva Radio Londra durante la seconda guerra mondiale. C'è anche un clarinettista italiano, Marco Ignoti, che suona nel Farben Ensemble, un gruppo strumentale di Parma specializzato in musica del novecento.
            Insomma gli Ignoti, come cognome, non mancano.
         Anch'io mi chiamo Ignoti, Rosario Ignoti e faccio il meccanico; ho una piccola officina di riparazioni d'auto e vivo a Roma, l'unico Ignoti della capitale, e anche di tutto il Lazio per quanto mi risulta. Ho scoperto che nel Lazio esistono delle persone che si chiamano D'Ignoti, con la d e l'apostrofo davanti a Ignoti, una differenza non da poco, anzi decisiva, perché la lettera d e l'apostrofo hanno permesso a quelle persone di mettersi al riparo dall'odiosa persecuzione che
sto invece subendo io.
            Abito da circa dieci anni nel quartiere della Garbatella a Roma con moglie e due figli, una femminuccia di dieci anni, con due belle gotine piene di lentiggini, e un maschietto di sei. Una famiglia normale, tranquilla, come tante altre, se non fosse per il mio cognome, il mio disgraziatissimo cognome.
            Tanto sciagurato quel cognome che mi verrebbe voglia di cambiarlo, mi piacerebbe chiamarmi in un altro modo, magari Rossi, Bianchi o Pincopallino, qualsiasi nome, ma non più Ignoti, così da mettere fine a questa farsa iniziata da quando negli uffici pubblici sono entrati in funzione i computer, che sono macchine veloci, velocissime, ma stupide, come dice un mio cliente che se ne intende di queste cose perché lavora nel campo dell'informatica.
            Ma come si fa a cambiare il proprio cognome dopo che uno se l'è portato addosso per tanti anni, che lo ha scritto un'infinità di volte, su ricevute, biglietti d'auguri, lettere, ecc., dopo che tante volte si è sentito dire: «Buongiorno, signor Ignoti, è pronta la mia macchina?», oppure: «Tutti bene a casa, signor Ignoti?»
            Nel cognome c'è scritta la propria storia, l'identità di una persona, il suo curriculum, il DNA che lo distingue da tutti gli altri. Se lo cambiassi ora, da un giorno all'altro, mi sembrerebbe di perdere qualcosa, di svuotarmi come un albero d'autunno.
            E poi io vengo da un'antica famiglia di Ignoti, un mio avo, Anton Francesco Ignoti, si arruolò fra i bersaglieri di La Marmora e prese parte alla breccia di Porta Pia, un personaggio eroico, a suo modo. In officina, sulla parete di fronte alla mia scrivania, ho appeso una grande stampa a colori che riproduce una scena dell'entrata vittoriosa dei bersaglieri a Roma il 20 settembre del 1870, in memoria del mio antenato Anton Francesco.
            Insomma io sono affezionato al mio cognome, ci convivo fin dall'età di tre, quattro anni, da quando cioè ho cominciato a capire che mi chiamavo così. E se proprio devo dirlo: mi piace. Non mi vergogno affatto del cognome che porto.
         Anche perché è un cognome che suona bene, con quelle due i che gli fanno da sentinella, e quel curioso anagramma che si forma mescolando le sue lettere - I Togni - che mi viene sempre d'associare ai Togni del circo equestre, e l'associazione mi mette una certa allegria, perché mi fa pensare ai clown, ai leoni che saltano dentro i cerchi infuocati, ai trapezisti che volteggiano in aria e si dondolano a testa in giù, alle ballerine in costumi luccicanti che fanno acrobazie sopra gli elefanti che nel frattempo corrono intorno alla pista, in fila indiana, ognuno con la proboscide incollata alla coda del compagno che sta davanti.
            Ma certo non vi nascondo che ogni volta che vedo comparire un carabiniere sulla porta di casa mia o all'ingresso della mia officina (la cosa si ripete regolarmente almeno due, tre volte alla settimana), e il carabiniere, consegnandomi una busta verdolina con l'intestazione del Tribunale di Roma, m'informa che c'è una denuncia contro di me
(il computer del Tribunale di Roma scrive «ignoti» con la I maiuscola, lo fa in automatico), allora mi si stringe il cuore e a quel punto vorrei davvero chiamarmi in un altro modo, magari Rossi, Bianchi o Pincopallino.     



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