Il
cognome
Ignoti non è così raro come si potrebbe immaginare.
Esistono diversi
Ignoti sparsi nel mondo, più che altro in Europa. Se non ci
credete fate una
piccola ricerca su Google, e ve ne accorgerete. Ad esempio scoprirete
che c'è
un poeta francese contemporaneo, Francesco Ignoti, che scrive poesie in
molti
casi dal titolo strano come «Le pigeon est toujours dans la
haie» (Il piccione
è sempre nella siepe), che sembra uno di quei messaggi in codice
che trasmetteva Radio Londra durante la seconda guerra mondiale.
C'è anche un clarinettista italiano, Marco Ignoti, che
suona nel Farben Ensemble, un gruppo strumentale di Parma
specializzato in musica del novecento.
Insomma gli Ignoti, come cognome,
non mancano.
Anch'io mi chiamo Ignoti, Rosario
Ignoti e faccio il meccanico; ho una piccola officina di riparazioni d'auto e
vivo a Roma, l'unico Ignoti della capitale, e anche di tutto il Lazio per
quanto mi risulta. Ho scoperto che nel Lazio esistono delle persone che si
chiamano D'Ignoti, con la d e
l'apostrofo davanti a Ignoti, una differenza non da poco, anzi decisiva, perché
la lettera d e l'apostrofo hanno
permesso a quelle persone di mettersi al riparo dall'odiosa persecuzione che
sto invece subendo io.
Abito da circa dieci anni nel
quartiere della Garbatella a Roma con moglie e due figli, una femminuccia di
dieci anni, con due belle gotine piene di lentiggini, e un maschietto di sei.
Una famiglia normale, tranquilla, come tante altre, se non fosse per il mio
cognome, il mio disgraziatissimo cognome.
Tanto sciagurato quel cognome che mi
verrebbe voglia di cambiarlo, mi piacerebbe chiamarmi in un altro modo, magari
Rossi, Bianchi o Pincopallino, qualsiasi nome, ma non più Ignoti, così da
mettere fine a questa farsa iniziata da quando negli uffici pubblici sono
entrati in funzione i computer, che sono macchine veloci, velocissime, ma
stupide, come dice un mio cliente che se ne intende di queste cose perché
lavora nel campo dell'informatica.
Ma come si fa a cambiare il proprio
cognome dopo che uno se l'è portato addosso per tanti anni, che lo ha scritto
un'infinità di volte, su ricevute, biglietti d'auguri, lettere, ecc., dopo che
tante volte si è sentito dire: «Buongiorno, signor Ignoti, è pronta la mia
macchina?», oppure: «Tutti bene a casa, signor Ignoti?»
Nel cognome c'è scritta la propria
storia, l'identità di una persona, il suo curriculum, il DNA che lo distingue da tutti gli altri.
Se lo cambiassi ora, da un giorno all'altro, mi sembrerebbe di perdere
qualcosa, di svuotarmi come un albero d'autunno.
E poi io vengo da un'antica famiglia
di Ignoti, un mio avo, Anton Francesco Ignoti, si arruolò fra i bersaglieri di
La Marmora e prese parte alla breccia di Porta Pia, un personaggio eroico, a
suo modo. In officina, sulla parete di fronte alla mia scrivania, ho appeso una
grande stampa a colori che riproduce una scena dell'entrata vittoriosa dei bersaglieri
a Roma il 20 settembre del 1870, in memoria del mio antenato Anton Francesco.
Insomma io sono affezionato al mio
cognome, ci convivo fin dall'età di tre, quattro anni, da quando cioè ho
cominciato a capire che mi chiamavo così. E se proprio devo dirlo: mi piace.
Non mi vergogno affatto del cognome che porto.
Anche perché è un cognome che suona
bene, con quelle due i che gli fanno
da sentinella, e quel curioso anagramma che si forma mescolando le sue lettere
- I Togni - che mi viene sempre d'associare ai Togni del circo equestre, e
l'associazione mi mette una certa allegria, perché mi fa pensare ai clown, ai
leoni che saltano dentro i cerchi infuocati, ai trapezisti che volteggiano in
aria e si dondolano a testa in giù, alle ballerine in costumi luccicanti che
fanno acrobazie sopra gli elefanti che nel frattempo corrono intorno alla
pista, in fila indiana, ognuno con la proboscide incollata alla coda del
compagno che sta davanti.
Ma certo non vi nascondo che ogni
volta che vedo comparire un carabiniere sulla porta di casa mia o all'ingresso
della mia officina (la cosa si ripete regolarmente almeno due, tre volte alla
settimana), e il carabiniere, consegnandomi una busta verdolina con
l'intestazione del Tribunale di Roma, m'informa che c'è una denuncia contro di
me (il computer del Tribunale di Roma scrive «ignoti» con la I
maiuscola, lo fa in automatico),
allora mi si stringe il cuore e a quel punto
vorrei davvero chiamarmi in un altro modo, magari Rossi, Bianchi o Pincopallino.