Paolo Albani
Questa
mattina, accompagnato dal mio legale, l’avvocato Paride Gentile del Foro di
Verona, ho depositato presso la sede del Tribunale delle Cause Giuste e Imparziali
la richiesta per abolire – chiunque ne sia il protagonista, indipendentemente
dall’età, sesso e posizione sociale, e in ogni luogo e circostanza si verifichi
– la formulazione, sempre più disperatamente reiterata in tempi come questi,
della domanda: «Come stai?».
Nell’istanza in carta da bollo
presentata al Tribunale, propongo, con validità retroattiva e estesa su tutto
il territorio nazionale, che il responsabile dell’impietosa domanda, e simili
(«Come va?», «Come te la passi?», «Come ti gira?», «Com’è?», «Come butta?», e
via dicendo) sia arrestato e condannato per direttissima se colto in fragrante
e messo alla gogna, se recidivo, nella piazza principale della città in cui si
è consumato il misfatto, come si faceva una volta, nel Medioevo, con i
criminali, incatenati a una colonna, ai quali veniva appeso un cartello al
collo. Nel caso in questione sul cartello sarà riprodotta la scritta: INFAME PORTATORE DI
MESSAGGI DISTURBANTI Nella medesima petizione propongo
inoltre che il disgraziato, dopo regolare processo, sia interdetto dai pubblici
uffici, almeno per dieci anni. Vi sembra mai possibile che uno che pone una
domanda del genere possa ad esempio fare l’educatore, insegnare nella scuola,
di ogni grado e indirizzo, avere degli allievi cui trasmettere il sapere?
Sarebbe un insulto al ruolo pedagogico dell’istituzione scolastica. O possa
altresì candidarsi nelle liste di un partito, per fare il parlamentare e
promuovere leggi o anche solo, a livello periferico, coprire la funzione di
sindaco o consigliere comunale: che modello di comportamento civile sarebbe per
i suoi futuri elettori se, nei comizi, ponesse loro la domanda: «Allora, amici,
come state»? Mi si dirà: Eh, ma sei eccessivo,
esageri. In fondo che vuoi che sia, è una domanda innocua, di solito
pronunciata garbatamente a mo’ di saluto, come se uno dicesse «Ciao», senza
aspettarsi che l’interlocutore risponda e si diffonda in dettagli. Innocua un paio di zeri! La formula inquisitoria «Come stai?», in apparenza
innocente, anche ammettendo sia proferita senza doppi fini, in buona fede, ha
in realtà un potere invasivo devastante, poiché mette il destinatario in un
forte stato di agitazione. Questo perché il destinatario, se possiede un minimo di
sensibilità e l’abitudine di non disattendere le curiosità del prossimo, si
sente in obbligo, dopo che qualcuno gli ha chiesto «Come stai?», di guardarsi
dentro, di farsi un esame di coscienza e valutare su due piedi come sta,
ovvero, in altri termini, considerare per sommi capi il senso presente della
sua vita, che non sempre è facile racchiudere in una formuletta sintetica o
risposta di convenienza. Tutto ciò, alla fine, può essere causa di grande sofferenza
se chi è messo alle strette e deve rispondere alla domanda «Come stai?», è
consapevole, o quanto meno ha una vaga sensazione che gli proviene da un rivolo
di fatti accadutagli negli ultimi anni, di non stare troppo bene, di navigare,
per varie ragioni, in cattive acque, o magari, peggio ancora, di essere
scivolato lentamente nelle sabbie mobili di un’angosciante paralisi
esistenziale. In quest’ultima evenienza, non fortunata, la domanda «Come
stai?» è un fulmine a ciel sereno, un colpo mancino che, per l’indelicatezza
della natura dell’interrogativo, mette in difficoltà il ricevente. Non vorresti
mai averla sentita, quella domanda. Meglio non fosse stata mai concepita, in
nessun contesto, per evitare a chiunque l’umiliazione di trovarsi in imbarazzo,
trattenendo l’istintiva reazione di controbattere: «Chi ti dà il diritto di
chiedermi una cosa tanto intima, personale?». In qualunque tonalità di voce e disposizione prossemica sia
espressa, la domanda «Come stai?» conduce in un vicolo cieco. Non se ne esce. Perciò è giusto che sia bandita, soppressa per il bene
pubblico, come ho richiesto, nero su bianco, nel mio esposto al Tribunale. Così
da evitare che uno, sentendola, vacilli, si smarrisca non sapendo cosa
rispondere, e finisca per ripiegare nelle soluzioni più scontate, la più comune
delle quali è: «E come vuoi che stia?». Oppure svicoli rilanciando, per prendere tempo, con
un’altra domanda: «E tu?». Qualcuno mi suggerisce, per allentare la tensione, di
metterla in burla, tirando in ballo il gioco di Umberto Eco che si chiama «Come
va?» che consiste nell’immaginare come vari personaggi risponderebbero alla
domanda incriminata.(*) Ad esempio:
Edipo: «La mamma è contenta». Montgolfier: «Ho la pressione bassa». Leopardi: «Sfotte?». Paganini: «L’ho già detto». Kafka: «Mi sento un verme». Agata Christie: «Indovini». Piero Manzoni: «Di merda». Risposte carine, che fanno sorridere, non lo metto in dubbio.
Ma perché buttarla in gioco? Prendere sotto gamba il problema, chiudere gli
occhi o far finta che non esista, è un errore. Da parte mia mi batterò fino in fondo, con ogni mezzo
legale, perché lo scempio del «Come stai?» abbia fine e non crei ulteriori guasti.
Mi auguro che il Tribunale delle Cause Giuste e Imparziali valuti attentamente
le mie ragioni e emetta una sentenza oculata, memorabile, di quelle sentenze che si ricordano nel tempo.
Un monito per tutti.
marzo 2021
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