Paolo Albani
  LE IMITAZIONI


   Quand’ero piccolo sognavo di diventare un imitatore, di fare l’imitatore di professione, un impiego onesto come tanti altri.

Il mio modello era Alighiero Noschese, un grande nel mondo dello spettacolo, lo vedevo in televisione, truccato in modo caricaturale per somigliare ai personaggi che imitava con un’abilità e una comicità straordinarie. Se chiudevi gli occhi, le voci imitate da Noschese erano perfettamente coincidenti, uguali agli originali, non c’era alcuna differenza.

Era il più bravo imitatore di quel tempo. Mi sono sempre domandato quale fosse la voce autentica di Noschese, la sua vera voce. Sapeva imitarla, Noschese, la sua voce? Me lo chiedo perché c’è un racconto di Thomas Bernhard, intitolato L’imitatore di voci, che finisce con queste parole: «Quando però gli abbiamo fatto la proposta [all’imitatore di voci, n.d.r.] di chiudere il programma imitando la propria voce, lui ha detto che non ne era capace».

Noschese aveva imitato tanti personaggi famosi, fra cui Giulio Andreotti, Lucio Battisti, Enrico Berlinguer, Mike Bongiorno, Rossano Brazzi, Mariolina Cannuli, Francesco Cossiga, Eduardo De Filippo, Amintore Fanfani, Federico Fellini, Nunzio Filogamo, Giorgio Gaber, Jader Jacobelli, Ugo La Malfa, Giovanni Leone, Domenico Modugno, Richard Nixon, Ruggero Orlando, Marco Pannella, Gino Paoli, Mario Pastore, Nilla Pizzi, Patty Pravo, Alberto Sordi, Tito Stagno, Ugo Zatterin.

Un fatto mi è rimasto impresso in questa storia d'imitazioni: Noschese si tolse la vita nel 1979, a soli 47 anni, lo stesso giorno e lo stesso mese della mia data di nascita, il 3 dicembre. Come leggere questa coincidenza per un giovane aspirante imitatore?

Le mie prime imitazioni, verso i nove-dieci anni, sono stati gli animali. Ero molto bravo a imitare il verso della gallina, mi esibivo davanti ai miei genitori, amici e parenti, a Natale vicino all’albero addobbato o durante una festa di compleanno, compresa la mia o quella dei miei fratelli, simulando di fare l’uovo che fingevo di raccogliere in una mano e di depositarlo in un cestino. L’imitazione della gallina era il mio cavallo di battaglia. Mi muovevo per la stanza a piccoli passi, ogni tanto mi bloccavo, restavo fermo con una gamba alzata, lo sguardo fisso, come fanno le galline.

Poi cominciai a imitare il nitrito del cavallo, il canto dell’usignolo, il gracchiare delle rane, il ronzio di uno sciame di api, gli urli scomposti delle scimmie (per l’imitazione delle scimmie colorivo la mia esibizione sbucciando una banana; stavo con le gambe piegate e mi grattavo di continuo la testa e saltellavo a destra e a sinistra). E ancora imitavo molto bene il sibilo del vento, la corsa di un treno accompagnata dagli sbuffi di vapore, la frenata nella stazione e lo scampanellio di un passaggio a livello nel momento in cui si alza o si abbassa.

Per ogni imitazione mi documentavo, ascoltavo attentamente il suono da riprodurre, stavo giornate intere, dopo aver fatto i compiti, a esercitarmi: registravo le prime prove su un magnetofono a bobine, il gelosino si chiamava regalatomi da mio padre, e poi le riascoltavo per capire dov’era necessario fare delle correzioni.

Nel 1983 vidi il film di Pasquale Festa Campanile Il petomane, dedicato alla vita del fantasista francese Joseph Pujol, interpretato da Ugo Tognazzi. Pujol faceva strane imitazioni manovrando abilmente l’aria che proveniva dal suo ano. In particolare restai colpito da un’imitazione di Pujol, effettuata con i peti: era l'imitazione del rumore del terremoto di San Francisco del 1906. Dalla riproduzione sonora di quel terremoto, mi venne l’idea di ampliare il ventaglio delle mie imitazioni, di renderle più complesse, più articolate, combinando suoni diversi in una sola narrazione imitativa. Con l’aiuto di un microfono, cominciai a imitare i fragori di una battaglia con le cannonate, il rombo degli aerei e i colpi a raffica delle mitragliatrici, e poi il rumore della folla in uno stadio calcistico inneggiante alla nostra nazionale, una folla che scandiva ritmicamente il grido «Italia! Italia!» dopo un goal.

In quel periodo, gli anni 80, una delle mie specialità vocali era l’imitazione dei radiocronisti sportivi.

Quando frequentavo l’Istituto Tecnico per Ragionieri «Duca d’Aosta» in via Giusti a Firenze avevo imparato a imitare la voce di alcuni miei insegnanti (avevo una certa difficoltà a imitare le voci femminili, era il mio punto debole). Quella che mi riusciva meglio era la voce stentorea, da cane ringhioso, dell’insegnante di Ragioneria, Dino Tangocci, un docente severissimo, che ci terrorizzava a morte; durante le sue lezioni in aula c’era un silenzio assoluto, non si sentiva uno scricchiolio o un colpo di tosse. Non potevamo ridere neppure quando Tangocci, alzando la voce, se ne usciva con minacce di questo tipo: «Lei, stia attento, la scaravento fuori dalla finestra senza preoccuparmi di aprirla!»

   Una volta, all’inizio delle lezioni, stavo per entrare in classe, la porta dell’aula era aperta e sentivo un gran casino provenire dall’interno, risate, botte sui banchi, sedie che strusciavano sul pavimento. Allora mi avvicinai alla porta e senza farmi vedere, imitando la voce da orco del Tangocci, urlai: «E allora! Cos’è tutto questo baccano!» D’improvviso la classe si ammutolì, era come se tutto in quell’aula si fosse fermato, nessuno fiatò più, fino a quando i miei compagni, pietrificati, non mi videro apparire sulla soglia della porta dell'aula.

Quel giorno, dopo l’imitazione della voce del Tangocci, rischiai di essere linciato, letteralmente. Si scatenò il finimondo, tutti, femmine comprese, si alzarono dai banchi e si precipitarono verso di me. Ironia della sorte fu il vero Tangocci, che passava di lì per fare lezione in un’aula accanto alla nostra, a salvarmi dalla furia incontenibile dei miei compagni.

     La mia classe si prese una nota disciplinare.

Quello stesso giorno finì la mia potenziale carriera di imitatore.


dicembre 2018

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