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PUBLICITAS RIDENS Vi sembrerà una domandina stupida, e anche un po’ ingenua, ma mi chiedo: perché nelle pubblicità tutti ridono, hanno un bel sorriso stampato in faccia? Che poi, si vede lontano un miglio, è un sorrisino disgustoso, falso, antipatico. Tutti nelle pubblicità – di sicuro l’avrete notato, ma magari non ci fate più caso – hanno un’aria felice e sorridente, come se il mondo circostante fosse una cuccagna, o il migliore dei mondi possibili, formula – piccolo ripassino filosofico – attribuita a Gottfried Wilhelm Leibniz, per il quale Dio, nella sua onnipotenza, saggezza e giustizia, ha scelto il nostro mondo come il migliore tra tutti i mondi concepibili, nonostante la presenza di mali e sofferenze. ![]() Tutti ridono, o sorridono, nelle pubblicità, che pena!, bambini, donne, uomini, giovani, vecchi, persino uno che gli manca una gamba e con l’altra tira un calcio al pallone, lo inquadrano in volto e vedi che l’uomo senza una gamba (se non ricordo male è di colore) ride, beato come una Pasqua. Ma che cazzo ha da ridere uno che gli manca una gamba! Mi direte: per vendere un prodotto – a questo serve la pubblicità, no? – bisogna essere persuasivi, seduttivi, usare tutti i palliativi possibili, anche quelli più invasivi (quanti -ivi), per far mandare giù la pillola e convincere il pubblico a spendere. E allora, negli spot si deve far ridere, indurre al sorriso, un modo per rassicurare il potenziale consumatore. Abbindolarlo. Si è mai visto in uno spot pubblicitario uno che piange, che si dispera, che si mette le mani nei capelli, afflitto, sofferente? Sono cose scontate, risapute, che ve le dico a fare. Il riso tranquillizza, ammorba l’atmosfera predisponendo all’esborso per l’acquisto. Se uno ride significa che è contento, lo sanno bene i pubblicitari (sanguisughe delle vendite) e la contentezza è l’anticamera di ogni scelta consumistica, il trampolino di lancio verso la felicità opulenta. Consumare rende felici! Appaga. Distende i nervi, diminuisce le palpitazioni, che uno è in perpetua fibrillazione per i tormenti della vita quotidiana. Si sa, che ve lo dico a fare. Siete grandi e vaccinati ormai, no? Parlo di queste cose e l’effetto che hanno su di me sapete qual è? è che mi scappa da ridere, ah, ah, ah, ah, me la rido sotto, non reggo, rido ah, ah, ah, ah! Sarà un fatto nervoso? Ho la risata facile, e allora? Sono empatico, mi volete colpevolizzare per questo? Si parla di ridere e subito ah, ah, ah, ah, mi viene da ridere, il riso è contagioso (se si parla di piangere, lo stesso, ih, ih, ih, ih, mi metto a frignare, embè, che ci volete fare, sono un tipo così, ho anche la lacrima facile, mi commuovo per un nonnulla, è sufficiente un gattino bagnato sotto la pioggia raccolto da una bambina che lo porta a casa dove la mamma sta colando la pasta di un marchio famoso, che io mi emoziono, mi scende la lacrima, mi faccio rabbia). Ma non divaghiamo. Sono partito dalla pubblicità, specchio di un mondo ovattato, irreale, dove tutto è a posto, basta comprare quel prodotto e magicamente ogni problema sparisce, si risolve, si supera: il mal di testa? svanito; il bruciore di stomaco? finito; il dolore a un ginocchio? passato; la macchia sulla camicetta bianca? evaporata; i cattivi odori nel bagno? annientati. Di colpo. Una magia. Ho un amico che si è rammaricato quando, nelle piattaforme televisive più importanti (Netflix, Prime Video, Sky, ecc.), hanno tolto le interruzioni pubblicitarie durante i film. A lui non disturbano le pubblicità, anzi, le aspetta con gioia nei canali dove ancora dilagano, e dove lui preferisce guardare un film (le cosiddette tv libere, tipo Telecapri che è quella più gettonata dal mio amico che vive a Napoli), proprio perché lì le pubblicità sono un flusso continuo (non di coscienza) ma d’interruzioni. Quando c’è la pubblicità il mio amico ne approfitta per andare in bagno (non ha la funzione stop nel telecomando) o si sposta in cucina, apre il frigo e si prende una birretta o una frutta. “A me le pubblicità – mi dice il mio amico – mi mettono di buon umore, mi rilassano, sono una boccata di ottimismo. Nelle pubblicità, la gente è sempre allegra, ride”. Appunto, è quello che vi sto raccontando dall’inizio. Il mio amico è il referente ideale delle agenzie pubblicitarie, è la figura più diffusa e irreprensibile del consumatore-modello. Pace all’anima sua. Magari, sei lì – mi racconta sempre il mio amico – che vedi un film drammatico, angoscioso, dove lei, la protagonista, è sul punto di morire per un male incurabile, fulminante, e il marito e i figli sono tristi, piangono di nascosto per non farsi vedere dalla donna, distrutti dal dolore e allora va a finire che lo stacco pubblicitario allenta la tensione, ha un effetto benefico, sdrammatizzante. Libera energie (sì, ha usato proprio questa espressione il mio amico: «Libera energie»). De gustibus. Credo di non sbagliarmi a pensare che il mio amico, e con lui milioni di altri consumatori incalliti, non avrebbero alcuna remora a sorbirsi un canale tv, magari a pagamento, in cui si propinano solo sketch pubblicitari, senza interruzioni, uno dietro l’altro, solo micro-narrazioni pubblicitarie in cui sono protagonisti i dentifrici, le auto, le pillole contro l’acidità di stomaco, la carta igienica, le pasticche per le lavapiatti, i deodoranti, gli sgrassanti, i surgelati, le bibite, le brioscine per i bambini, le creme depilanti, le macchinette per il caffè, eccetera eccetera (Perec avrebbe fatto una lista più lunga, a ognuno la lista che si merita), e dove la gente è felice e non si fa tante domande, e ride, perché nelle pubblicità tutti ridono, per non disturbare il manovratore. novembre 2025
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