Paolo Albani
L'ACCOMPAGNATORE
 
  
   


Ormai è diventato un ritornello monotono, una solfa che si ripete ogni volta che mi siedo intorno a un tavolo in casa di amici oppure al ristorante, per le occasioni più diverse, compleanni, anniversari, feste comandate tipo Natale, Pasqua, ultimo dell’anno.
    A un certo punto, quando siamo tutti a tavola, felici e contenti, e si sentono i rumori delle posate sui piatti e il vocio dei commensali che sembra il rumore di un frullino che gira al rallentatore, c’è sempre uno (dico sempre!), un coglione, una sottomerda (per citare Céline) che si arroga il diritto di alzare la voce, nel frastuono generale, per prendersi la scena e chiedere:
    «Chi è il più vecchio, qui, alla nostra tavola?».
    Tutti naturalmente si fermano e guardano verso di me, che ho i capelli bianchi, cortissimi, e la barba bianca, e le gambine secche, come due chiodi (anche se non si vedono sotto i pantaloni), che sorreggono un ventre pronunciato che invoglia i più spiritosi, o quelli che si ritengono tali, ma non sempre lo sono, a chiedermi: «Di quanti mesi sei?».
    Idioti, non fanno ridere nemmeno i polli.
    Avete notato come i bambini rappresentano gli adulti nei loro disegni? Al posto della testa ci mettono un cerchietto, due linee filiformi al posto delle braccia, come pure due gambette sottili sottili, e poi c’è il tronco che disegnano largo, sproporzionato. Se ci pensate, quella è la fisionomia tipica dei vecchi.
    Ormai sto entrando in un’età abbastanza avanti nel tempo, e in quelle cene, dove ci sono per lo più giovani o persone di mezza età, si cerca di farmi spifferare quanti anni ho, sfruttando l’uscita di quel fesso, il classico burlone rompiscatole, che a ogni cena cui intervengo (ce n’è sempre uno, statene certi) chiede fatalmente, strizzando l’occhio al vicino: «Chi è il più vecchio, qui, alla nostra tavola?».
    Ma io non gli do soddisfazione.
    Eh, sono tanti, gli anni, vi garantisco, rispondo io. Troppi, e li sento tutti, più passano i giorni.
    Che io sia vecchio, è un dato di fatto. Nessuno può negarlo. A volte, per fare il simpatico, ironizzo: «No, no, guardate, io non sono vecchio, io sono decrepito!».
    A me, vi confesso, dell’età non importa un fico secco, è una questione che mi lascia indifferente, anzi sono contento di essere arrivato fino a questa veneranda età (che non vi svelerò, nemmeno sotto tortura). E mi fa tristezza pensare che tanti miei amici non ci sono arrivati, se ne sono andati via prima. E poi, come sapete bene, l’età è una condizione soggettiva, c’è quella anagrafica e quella che uno si sente dentro. Ci sono dei giovani che, a guardarli, hanno un temperamento da vecchi, si comportano da vecchi anche quando sono giovani e dovrebbero fare pazzie, sovvertire il mondo, essere impazienti. «La pazienza non è dei poeti» diceva Majakovskij (va beh, mi sono presa una licenza poetica).
    Allo stesso modo mi fanno compassione (o incazzare) anche coloro che non si rassegnano a invecchiare, e praticano tutte le arti e i sotterfugi per sembrare più giovani, si tingono i capelli (parlo più che altro dei maschi), si vestono in modo giovanilistico, vanno in palestra, fanno sport, jogging, diete massacranti, tallonano le ragazzine.

    Apro una parentesi (sull’esempio di Raymond Roussel, campione di parentesi aperte che creano un effetto matrioska sul testo). Tra le ipotesi più fantasiose per allungare la vita c’è quella secondo cui il calore vitale dei corpi giovani abbia un’influenza benefica sulla salute dei vecchi. È un’idea avanzata da un medico tedesco, Johann Heinrich Cohausen (1665-1750), nel libro Hermippus Redivivus: Or, the Sage’s Triumph Over old age and the Grave. Wherein a Method is Laid Down for Prolonging the Life and Vigour of man (Ermippo redivivo ovvero il trionfo del saggio sulla vecchiaia e sulla tomba. In cui viene stabilito un metodo per prolungare la vita e il vigore dell’uomo) (1744). A dimostrazione della validità della sua teoria, Cohausen osserva che gli insegnanti, il cui ufficio si svolge tra i giovani, sono molto longevi e cita al riguardo il retore e filosofo greco Gorgia di Lentini (480ca-383ca a.C.), il logografo e oratore greco Isocrate (436-338 a.C.), i filosofi greci Zenone di Cizio (333ca-263 a.C.) e Teofrasto (371-287 a.C.) e molti altri illustri maestri. Dunque, vivere a lungo, afferma Cohausen, è possibile grazie al “puellarum anhelitu”, cioè al fiato di fanciulle. La ricetta è antichissima: già Roger Bacon (1214-1293ca), filosofo e scienziato inglese, sostenne che la perdita del calore degli spiriti, fuoriuscendo dal corpo con il passare degli anni, si può compensare avvicinando il corpo vecchio a quelli di persone giovani e sane.
    Racconta Hermannus Boerhaave (1668-1738), medico olandese, che per guarire un vecchio principe tedesco dagli acciacchi della vecchiaia, i medici gli prescrivono di coricarsi la notte tra due giovinette. Il trattamento riesce talmente efficace che gli stessi medici devono sospenderlo per prudenza.


Hermannus Boerhaave (1668-1738)


    Agli inizi del secolo XX un grande successo ha il metodo di ringiovanimento elaborato da Serge Voronoff (1866-1951), medico francese di origine russa. Il metodo consiste nel trapianto di piccole parti di testicolo dalla scimmia all’uomo. La fama di Voronoff è in parte dovuta al fatto di aver guarito lo scrittore francese Anatole France (1844-1924), colpito, forse, più che da senilità precoce, da un forte esaurimento. «Gli ho innestato, – racconta Voronoff – sotto l’anestesia locale, i testicoli di una grande scimmia cinocefala, divisi in otto frammenti accuratamente distanziati intorno ai suoi testicoli». Dopo l’esperimento, il recupero di virilità manifestatosi nello scrittore francese arreca fama e notorietà a Voronoff.

    Chiudo la parentesi, e torno a quel tale, antipaticissimo, che nel bel mezzo di una cena, quando tutti se la spassano allegramente, si alza, batte una posata su un bicchiere per attirare l’attenzione e chiede, sfoggiando un sorrisetto malevolo: «Chi è il più vecchio, qui, alla nostra tavola?». È una scena a cui ho assistito tante volte, e tutte le volte mi provoca un fastidio indescrivibile, perché, guarda caso, il più vecchio in genere sono io, sono io il prescelto, e se potessi, dopo quella domanda, sprofonderei sottoterra. Prima, però, lo strozzerei l’insolente! Ma che te ne frega di sapere chi è il più vecchio? Ti cambia forse la vita, brutto stronzo che non sei altro?
    Per fortuna, ho trovato un rimedio.
   Mi sono rivolto alla casa di riposo Villa Guidotti di Maresca, in provincia di Pistoia, un’accogliente struttura per anziani immersa nel verde. Il direttore è un mio vecchio amico, abbiamo fatto l’università insieme. Con il suo permesso, ho “affittato” un ospite della casa di riposo, Mario G., un ex ferroviere che è molto più vecchio di me. Sì, lo so, il verbo «affittare» è brutto, ma rende l’idea. Ogni volta che devo andare a una cena, porto con me l’ospite che ho scelto, naturalmente lui, nella fattispecie Mario G., è consenziente, ha firmato un contratto stilato dal mio avvocato e lo pago, con tanto di ricevuta e assicurazione (non si sa mai si facesse male fuori della casa di riposo o avesse delle conseguenze intestinali per via del cibo).
    Così, quando la testa di cazzo di turno, il disturbatore seriale se ne esce con la frase: «Chi è il più vecchio, qui, alla nostra tavola?», io non mi scompongo, sorrido e indico il mio accompagnatore, Mario G., lui alza la mano per farsi riconoscere e conferma: «Sì, sì, sono io il più vecchio».


dicembre 2023

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