Paolo Albani
L'ASSURDITÀ DIFFUSA

 

 

Signore e Signori,

il tema che affronterò in questa conferenza, come avrete letto sull’invito della Fondazione che ci ospita, è estremamente complicato e scivoloso, ostico per alcuni versi, ma si presta a riflessioni stimolanti, almeno mi auguro.

   Ho intitolato la mia conversazione L’ASSURDITÀ DIFFUSA IN UN MONDO ASSURDO perché non c’è dubbio che tutti noi viviamo in un mondo che non è azzardato definire assurdo, pieno com’è di fenomeni illogici, irrazionali, e le occasioni che dimostrano le assurdità che ci circondano e ci condizionano sono ben rintracciabili ogni giorno che passa, e in ogni dove. Sono assurdità che si manifestano con una frequenza paurosa, sempre più intensa, a cui è difficile sfuggire e non vedere. L’ampiezza delle manifestazioni assurde che abbiamo di fronte e con cui ci scontriamo nel nostro quotidiano si allarga costantemente, senza che abbiamo la forza morale di contrastarle e qualvolta perfino di riuscire a individuarle e smascherale.

Paradossalmente qualcuno potrebbe contestarmi la liceità del tema da me scelto e ritenere assurdo il fatto stesso che si parli di assurdità, mettendo in dubbio che esista la possibilità teorica di discernere fra ciò che è assurdo e ciò che non lo è. Chi può arrogarsi il diritto di etichettare come assurdo, insensato, un certo episodio, una certa idea, un certo comportamento?

Da qui la scivolosità dell’argomento che ho intenzione di esaminare, già messa in evidenza all’inizio.

A parte il fatto che esiste una lunga tradizione filosofico-letteraria sull’assurdo (dal latino absŭrdu(m), cioè «dissonante») che va da Parmenide, prodigatosi nell’evidenziare l’assurdità di certe espressioni linguistiche adoperate normalmente come sensate, alla mistica ebraica che ritiene le soluzioni incomprensibili quelle che assurgono al più alto livello della riflessione umana, dalle filosofie dell’irrazionalismo ontologico che considerano la vita dell’uomo dominata dal caso e dall’imprevedibilità, e dunque da un’essenza irrazionale, fino ai romanzi e alle opere teatrali di scrittori come Sartre, Camus, Ionesco e Beckett, tanto per citarne alcuni, in cui l’assurdo è ritenuto un dato implicito nell’esistenza umana.

«L’assurdo – afferma Arthur Schopenhauer – fa molto facilmente fortuna nel mondo».

Ma non voglio parlarvi del concetto di assurdo per come è stato trattato storicamente. Come molti di voi immagino sanno, non sono uno storico delle idee. Al riguardo lasciatemi soltanto citare la tesi di fondo contenuta in La filosofia dell’assurdo (1937) di Giuseppe Rensi, filosofo solitario e inattuale per eccellenza: «La storia non è che lo sforzo per allontanarsi dal presente, perché questo è sempre assurdo e male». (*)
    L’assurdità contemporanea su cui desidero intrattenervi oggi è, se vogliamo, un’assurdità più spicciola, terra terra, ristretta di quella affrontata dai filosofi e dagli scrittori, ma non per questo meno pregnante, un’assurdità che s’insinua in modo sotterraneo, invisibile fra i mille interstizi delle nostre azioni, di cui sempre più spesso ci sfugge il senso, magari con l’aggravante di non esserne coscienti. Con questo voglio dire che le nostre azioni sono sempre più spesso dettate da automatismi sociali, da impulsi e condizionamenti di cui non ci rendiamo conto, azioni che eseguiamo in modo involontario, che sfuggono al nostro controllo, assecondando mode e messaggi che – come si sente dire in giro – toccano più la nostra pancia, la nostra emotività che la nostra capacità razionalizzante.

Dunque se mi concedete qualche minuto della vostra pazienza, vorrei concentrare il mio discorso su un’assurdità particolare, di una rilevanza per certi versi inquietante; si tratta dell’ASSURDITÀ DI ADDORMENTARSI IN MODO RIPETUTO E COMPULSIVO DAVANTI A UN TELEVISORE ACCESO. È un fenomeno sempre più frequente nel nostro paese, e non solo da noi, che dilaga nel tessuto sociale coinvolgendo trasversalmente tutte le classi, le età e i generi.

Per quanto nota, sarà bene ricordare per sommi capi l’azione assurda in questione che ha un protocollo ormai collaudato e si articola nelle seguenti modalità:

 

1. il soggetto-assurdo (lo chiamo così per convenzione) si siede su un divano, generalmente nel tardo pomeriggio, ma gli orari possono cambiare da un soggetto-assurdo a un altro, a seconda delle inclinazioni personali e delle fasce orarie dei lavori svolti;

 

2. che il divano sia di stoffa o di pelle, con il poggia piede o senza, con il letto incorporato o ne sia privo, non fa alcuna differenza: l’importante che sia comodo e confortevole per ciò che il soggetto-assurdo si presta a compiere;

 

3. una volta pronto, il soggetto-assurdo prende il telecomando e accende il televisore posizionato davanti a lui; dopo di che si spaparanza sul divano, assumendo la posizione più comoda e rilassata possibile, dato lo spazio disponibile offerto dal divano; in questi frangenti il soggetto-assurdo è quasi sempre fornito di copertina protettiva;

 

4. più grande e tecnologico è l’apparecchio televisivo, e più efficace risulterà l’uso ai fini della realizzazione della fase di addormentamento;

 

5. senza troppi convenevoli o ricerche prolungate, il soggetto-assurdo sceglie un canale qualsiasi, meglio se un film o una serie televisiva; nei talk show c’è troppa confusione, si urla, si sbraita, i discorsi si sovrappongono e non si capisce niente (non che quest’ultima circostanza impressioni più di tanto il soggetto-assurdo, perché capire il meno possibile è un fattore che aiuta l’intorbidimento celebrale);

 

6. non appena inizia il programma selezionato, il soggetto-assurdo entra piano piano, vinto da una forza irresistibile, in uno stato di assopimento strisciante, di catalessi che, nel giro di pochi minuti (mediamente 30 o 45), lo porta a dormire di botto, rilasciando il tipico rumore che si produce quando si russa, un rumore rauco prodotto nel naso e nella gola, accompagnato in certi casi da fischi e sibili prolungati.

 

    L’ultima azione – quella dell’addormentarsi con annesso effetto di russamento – avviene a televisore acceso, e è questo, mi preme sottolineare, il motivo principale ammanta di assurdità la situazione descritta. Ciò che rende assurdo il nostro soggetto è che si trova davanti a un televisore funzionante, perfettamente operativo, con l’audio regolato su un’altezza di buona ricezione, mentre lui, il soggetto-assurdo, se la dorme beato, tranquillo, non vede e non sente niente di quello che la televisione sta tramettendo in quel momento.

    Alcuni soggetti-assurdi, interrogati su questo loro comportamento improprio (absurd behavior lo chiamano i ricercatori statunitensi che si sono occupati del fenomeno), hanno confessato candidamente di aver sviluppato un’attività onirica durante il sonno vissuto sul divano di fronte a un televisore accesso, in certi casi raccontando di aver sognato di guardare un film in tv, di cui ricordano perfettamente la trama, le scene più importanti, i colori della fotografia, le ambientazioni.

     La televisione, strumento per eccellenza della comunicazione umana, nuovo veicolo sociale di informazione e intrattenimento, si trasforma assurdamente in altro, assume una funzione che non le è propria, incongrua, vale a dire la funzione di sonnifero, di surrogato del tranquillante, che stride e contrasta con il ruolo, educativo e culturale, che la televisione dovrebbe (deve) assolvere nella società.

    L’assurdità di addormentarsi davanti a un televisore, con l’aggravante di essere un televisore acceso, insieme e più ancora della nevrotica e deleteria pratica dello zapping, cioè del saltellare senza sosta da un programma all’altro per l’intera serata, è l’ennesima prova di quella serie di comportamenti irrazionali, contradditori che, come dicevo, stanno sempre più diffondendosi fra la popolazione a una velocità preoccupante.

   Esistono valide alternative a questo comportamento “dissonante” di addormentarsi davanti a un televisore acceso? Non mi sento di formulare rimedi, che a prima vista potrebbero suonare moralistici e generici, come il leggere un libro, ascoltare della musica, uscire con gli amici, farsi una passeggiata, andare al cinema o al teatro, e cose del genere, al limite, perché no, fissare lo sguardo sul soffitto e fantasticare, ottima prassi di benefico perdigiornismo.

La mia filosofia, se così la si può definire, è che ognuno – lo sostengo senza pormi nella posizione presuntuosa dell’osservatore distaccato e con ciò al di sopra degli altri, ben cosciente di quanto l’attrattiva di un divano, per di più in presenza di un televisore acceso, sia difficile da contrastare e respingere – è libero di scegliersi le assurdità che crede più consone e compatibili al proprio modello di vita.

    Nel concludere, spero che le mie brevi considerazioni, per quanto frettolose e focalizzate su un aspetto circoscritto, siano riuscite in qualche modo a suscitare in voi, che avete avuto la bontà di ascoltarmi, un qualche stimolo alla riflessione seria e costruttiva sulla problematica dell’ASSURDITÀ DIFFUSA IN UN MONDO ASSURDO suscettibile – è facile intuirlo – di una serie di ulteriori approfondimenti, impossibili da affrontare in questa sede per ovvie ragioni di tempo.

    Grazie per la vostra partecipazione.

 

   (Applausi che risvegliano alcuni partecipanti alla conferenza che si sono appisolati).

 

 


(*) Giuseppe Rensi, La filosofia dell’assurdo, Adelphi, Milano, 1991, p. 121.

 


maggio 2020

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