Paolo Albani
  IL COMPLESSO DI HITLER


       Un aspetto del tutto sconosciuto nella tragica vicenda dell’Olocausto o Shoah riguarda le categorie degli internati dei campi di concentramento nazisti. È ben noto che le categorie dei perseguitati che finirono nei lager, ognuna contraddistinta da un simbolo colorato, un simbolo di stoffa posto sulla Zebra, la divisa a strisce chiare e scure alternate, furono: gli ebrei, gli omosessuali, gli zingari, gli asociali (vagabondi, etilisti, malati di mente, prostitute, lesbiche), i testimoni di Geova, gli emigranti e i delinquenti comuni.

    C’è tuttavia un’altra categoria, che quando si parla dei lager nazisti, non viene mai ricordata, resta nell’ombra, forse per una sorta di comprensibile pudore e di rispetto verso le altre categorie che più hanno sofferto le atrocità naziste. Si tratta della categoria del «schrecklich nett», letteralmente «terribile simpatico», o «funny guy», espressione che potremo tradurre con la parola «simpaticone».

   Non tutti sono a conoscenza che i nazisti, fanatici dell’ordine e della serietà comportamentale, odiavano, detestavano, non sopportavano i cosiddetti «simpaticoni», identificabili con quegli individui – generalmente superficiali e un po’ farfalloni – che hanno sempre la battuta facile, che non perdono mai l’occasione di fare giochi di parole, di solito banali e scontati, soltanto per apparire simpatici, appunto; individui che hanno l’abitudine di buttare tutto in caciara, ogni tipo di conversazione e di approccio umano verso l’esterno, di voltarlo in scherzo, in finzione ludica.

    Una volta affibbiato a un individuo, nella società nazista, il marchio indelebile di «simpaticone», all’inizio succedeva che questi era subito isolato, gli si faceva terra bruciata intorno, gli si rendeva la vita difficile con ogni mezzo, lecito e illecito; finché, a partire dagli anni 1940-41 in cui venne attuata in Germania l’Endlösung der Judenfrage, cioè «la soluzione finale della questione ebraica», si cominciò a deportare nei campi di sterminio anche i «simpaticoni».

     Racconta Anna Krüger, nel libro autobiografico Fanatismus in der Nazi-Gesellschaft (Il fanatismo nella società nazista) (1988), che il padre, Alrich, medico generico con un ambulatorio nel centro di Berlino, era una persona cordiale, dallo spirito allegro, spensierato, una pasta d’uomo il cui unico vizio era quello d’intrattenere a lungo i suoi pazienti durante le visite, sia in ambulatorio che domiciliari, con barzellette e aneddoti assurdi e divertenti, molti dei quali da lui stesso inventati di sana pianta. Fu proprio un suo paziente, iscritto al Partito Nazionalsocialista fin dalla sua fondazione, a denunciarlo alla Gestapo come pericoloso «simpaticone». Il dottor Alrich Krüger, racconta la figlia, fu prelevato la notte del 14 aprile 1942 dalla sua abitazione da alcuni soldati capitanati da un agente della Gestapo e portato in una caserma senza nemmeno dargli il tempo di vestirsi; da quella notte del dottor Krüger, accusato di essere un «simpaticone», non si seppe più nulla.

    L’odio dei nazisti per i soggetti etichettati come «simpaticoni» ha un’origine ben precisa, che viene fatta risalire alla profonda insofferenza e disprezzo nutriti da Adolf Hitler verso ogni forma di «linguistisches Spiel» (gioco linguistico), di accondiscendenza all’ambiguità comunicativa e al lassismo discorsivo (termini ricorrenti sulla stampa nazista), giudicati sintomi preoccupanti del decadimento della società borghese, aberrazioni collocabili sullo stesso piano nefasto dell’«Arte degenerata».

   Com’è noto, fra le prime restrizioni presenti nel protocollo stilato sul modo di comportarsi al cospetto di Hitler, ce n’era una che prescriveva assolutamente di non raccontare al Führer barzellette o storielle comiche, e di non rivolgersi a lui in atteggiamento frivolo e ridanciano, tipico della figura del «simpaticone» (un’altra ferrea restrizione proibiva tassativamente di toccarsi gli attributi in presenza del Führer che, com’è stato scoperto sulla base delle sue cartelle cliniche, soffriva di criptorchidismo, ossia aveva un solo testicolo).

Fra quelli che disgraziatamente infransero questo rigido protocollo, pagando l’affronto con la fucilazione immediata, va menzionato il maggiore della Wehrmacht Arnold Schmidt (1894-1943) che una volta, parlando amichevolmente con il Führer durante una cena in casa di Hermann Göring, in occasione del compleanno di quest’ultimo, gli disse di aver viaggiato «tête-à-bête» con un proprio attendente che non brillava per intelligenza. Dopo questa innocente confessione del maggiore Schmidt, Hitler, che non aveva capito il giochetto di parole («bête» significa stupido in francese), rimase contrariato, s’irrigidì, fece immediatamente chiamare una delle sue guardie del corpo e gli ordinò di arrestare e far fucilare il maggiore Schmidt.

Secondo il principale biografo di Hitler, Ian Kershaw, il Führer aborriva i racconti umoristici, pieni di battute fatue, di ridicoli doppi sensi e slittamenti semantici; in special modo lo facevano infuriare le barzellette (che sono, come dicono i semiologi di oggi, vere e proprie micro-narrazioni) perché un suo zio da parte di madre era un formidabile e instancabile raccontatore di barzellette; fin da quando Hitler era bambino, questo zio non vedeva l’ora di raccontare barzellette al nipotino, erano barzellette molto stupide, mai però sporche o a sfondo sessuale, perché lo zio di Hitler era un calvinista puritano. Sta di fatto che, fin da piccolo, Hitler faceva fatica a capire il senso di quelle barzellette e si vergognava a chiedere spiegazioni allo zio; quest’ultimo, pur vedendo il nipotino rimanere impassibile, serio e non allargarsi mai in un sorriso dopo il racconto delle barzellette, non demordeva e tornava sempre all’assalto: ogni volta che lo incontrava, continuava a tormentare il nipotino con le sue sciocche storielle.

La barzelletta, insieme ai giochi di parole, è comunemente considerata il cavallo di battaglia dei «simpaticoni», la loro arma preferita per interloquire simpaticamente con gli altri; questo spiega perché durante il nazismo queste persone, i «simpaticoni», furono internati nei campi di concentramento; secondo stime approssimate furono soppressi dai nazisti più di 200.000 «simpaticoni». Tutto ciò per via del complesso di cui soffriva Adolf Hitler che le barzellette, e non solo quelle raccontate dallo zio, non arrivava mai a capirle.

   


ottobre 2018

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