Paolo Albani
L'EGITTOLOGO DILETTANTE


Nelle tombe dei Faraoni sono stati ritrovati, non solo oggetti di uso quotidiano, suppellettili, monili, vestiario, ma anche alimenti e bevande. Poiché gli antichi Egiziani credevano che la vita continuasse dopo la morte, riempivano la tomba del defunto di ogni cosa utile al suo viaggio ultraterreno, per rendere certo e sicuro il passaggio verso l’aldilà. Non doveva mancargli nulla ai Faraoni mentre raggiungevano l’aldilà, neanche dal punto di vista alimentare. Dovevano tenersi in forma, mangiare.
    Cosa mangiavano i Faraoni? Nella tomba di Kha, l’architetto dei grandi faraoni della XVIII dinastia (1425-1353 a.C.), un archistar dell’epoca, conservata nel Museo Egizio di Torino, sono state ritrovate forme di pane, composte di frutta, una sorta di minestra e carni affumicate. Gli antichi egizi consumavano molta frutta: fichi, carrube, uva (che proveniva dall’Oriente) e datteri. Per quanto riguarda le verdure, i reperti suggeriscono che il consumo di zucche, cipolle, aglio e insalate come la lattuga era abbondante. Gli antichi egizi consumavano molto pesce, soprattutto di fiume, come la tilapia, tipico pesce del Nilo. Per le carni un ruolo importante lo ricoprivano i volatili da cortile, anatre e oche, e anche volatili selvatici come quaglie e fagiani, cacciati con arco e frecce, lance e reti. La bevanda più diffusa nell’antico Egitto era la birra.
Questo in estrema sintesi.

    Ho fatto questa premessa per parlare del mio amico romano Francesco R. che abita a Trastevere e fa il postino. La passione di Francesco (che rasenta la perversione, non esagero, ne riparliamo più avanti) è l’«egittologia». Ha letto un sacco di libri sulla storia dell’Egitto, dall’età prefaraonica e antica, cioè dal quinto millennio a.C., fino alla fine del dominio romano nel IV secolo. Ha seguito anche dei corsi universitari. Più volte ha visitato il Museo Egizio di Torino e quello del Cairo, quest’ultimo in tour organizzati, anche da lui. Quasi tutte le estati, durante le ferie, si regala un viaggio al Cairo per visitare il museo archeologico. Ci porta gli amici cui fa da guida per spiegare le bellezze conservate in quel meraviglioso museo.
    A proposito del suo lavoro, Francesco mi spiega che le lettere e i documenti che consegna alla gente per lui sono assimilabili a dei “reperti archeologici”, testimonianze che contengono frammenti di vita solo potesse aprirle e leggerle (voglio sperare che non lo faccia, che non apra le lettere, magari attratto dall’immagine del francobollo, dalla forma della busta o dalla calligrafia del mittente). In un certo senso, le lettere sono pagine di diari, da cui si potrebbe ricostruire la vita dello scrivente. Del resto, è ciò che fanno gli archeologi quando decifrano le iscrizioni ritrovate negli scavi. E Francesco, in quanto postino, distribuendo lettere, si sente – lo confessa felice come una pasqua – un po’ archeologo, depositario dei destini della gente, le cui traiettorie esistenziali sono tracciate fra le righe in quelle lettere.
    In casa, Francesco conserva una gran quantità di gadget, di riproduzioni di reperti egizi comprati durante le visite ai vari musei di tutto il mondo (non è stato solo a Torino o al Cairo, ha fatto visita anche ai musei egizi di Londra, Berlino, Parigi, Filadelfia, Boston, Chicago, New York, Napoli, Liverpool, e non so a quanti altri). Ha persino una scultura in legno alta quasi due metri della maschera statutaria di Tutankhamon che si è fatta costruire da un amico falegname, anche lui appassionato dell’antico Egitto. È impressionante: si resta a bocca aperta quando la si vede, maestosa, collocata sulla parete di fronte all’ingresso della camera-museo allestita da Francesco. La facciona lignea di Tutankhamon ti fissa con i suoi occhioni neri, l’espressione di uno che sembra dire: «Ehi, che ci fai qui?». E qui non significa nella stanza di Francesco, ma su questa terra, su questo schifo di mondo.



    Per me, con tutto il bene che gli voglio, Francesco è un po’ svitato, come d’altronde lo sono i collezionisti in generale, o quelli che sostengono di essere stati rapiti dagli alieni, i fanatici del paranormale, i terrapiattisti, i seguaci di sette religiose, gli adoratori del sole. Insomma, non c’è nulla da fare, credo sia malato (scegliete voi la patologia).
    Per questo ritengo che l’amore per l’antico Egitto sia una perversione per lui, e da questa perversione si è lasciato prendere al punto di fare una follia.
Sapete cosa si è inventato?
    Ha fatto testamento (sebbene non abbia ancora quarant’anni), regolarmente depositato presso lo studio del notaio romano Franco Angelini in via Giovanni Battista Morgagni, in cui ha lasciato scritto quello che vuole sia messo dentro la sua tomba, dove sarà collocata una bara speciale (costruita espressamente da una ditta di pompe funebri), bella ampia e confortevole, a forma antropoide con decorazioni dipinte su tutta la superficie e scritture illeggibili da lui inventate sulla falsariga di quelle dei popoli sconosciuti di Bruno Munari.



    Nel testamento, Francesco desidera siano custoditi alcuni libri che vuole rileggere, Vassalli, Nabokov, Joyce, Svevo, Morante, tanto per non annoiarsi, e poi oggetti affettivi legati alla storia della sua famiglia (fra le altre cose una collana di finte perle di sua nonna Augusta e alcune copie di “La Settimana Enigmistica” compilate dal padre), e in più, come usava nell’antico Egitto, ci metterà anche del cibo. Non può mancare il cibo per un defunto che è sul punto d’intraprendere un viaggio lungo e impegnativo.
    Vi sembra normale uno che scrive certe cose nel testamento?
    In particolare, a proposito del cibo, nel testamento Francesco ha indicato una lista di piatti che in vita sono stati i suoi preferiti, di cui era goloso, e che dovranno essere introdotti nel suo “sarcofago”, chiusi nelle bustine che si usano per i surgelati, così d’accompagnarlo nel viaggio verso l’aldilà. I piatti della lista, frazionati in porzioni, comprendono: spaghetti alla carbonara (almeno venti porzioni), spaghetti all’amatriciana, abbacchio alla scottadito, trippa, carciofi alla Giudìa, crostata di visciole e altri ancora.
    Il notaio Angelini, quando ha letto il testamento, arrivato al punto in cui era elencato il cibo da mettere dentro la bara, si è tolto gli occhiali, lentamente, poggiandoli sulla scrivania e ha guardato Francesco dritto negli occhi:
    – Senta un po’ – gli ha chiesto il notaio – non ha paura d’ingrassare?
    Da come mi ha raccontato lo scambio di battute con il notaio, sospetto che Francesco non abbia capito il tono sarcastico contenuto in quella domanda.
    Gli ha risposto, serio:
    – Non credo, il viaggio si prospetta lungo, non sarà proprio una passeggiata.
    Lui è fatto così.

   


gennaio 2023

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