Paolo Albani
SU ALCUNI CASI
DI ETERONOMI ITALIANI


L’«eteronimo», parola bizzarra di origine greca composta da héteros, «diverso, altro», e da ónoma, «nome», è un autore fittizio, immaginario che tuttavia possiede una sua personalità, un profilo biografico e uno stile completamente diversi da chi l’ha creato, cioè dal suo autore che si chiama «ortonimo». A differenza dello pseudonimo, l’«eteronimo» coesiste con il suo autore, ne forma una sorta di alter ego, di estensione del carattere. Quando si parla di eteronimia viene subito in mente Fernando Pessoa che escogitò una galassia di identità alternative per scrivere romanzi e poesie. E in Italia? Esistono eteronimi italiani? Ne ricorderò alcuni, fra quelli che mi piacciono.
Giampaolo Dossena si è divertito a creare personaggi immaginari, eteronomi alla maniera di Pessoa. Secondo alcuni «io sarei Pessoa», ha scritto Dossena nel Garibaldi fu ferito (il Mulino 1991, p. 54). Fra gli eteronimi dosseniani il più estroso e prolifico è il colonnello Mario Zaverio (o Xavier, forma spagnola di Zaverio o Saverio) Rossi (1884-?), di Mirandola (Modena), di cui Dossena ci ha lasciato dettagliate note biografiche. Già addetto all'Ufficio Cifra del SIM, il colonnello Rossi è stato titolare delle cattedre di Messaggi Cifrati e di Istituzioni Retoriche all'Accademia Militare di Modena; ateo e non massone, robustamente antifascista e antimonarchico, sempre impassibile come Buster Keaton, e erettissimo nella personcina (visto di spalle era tale e quale Giacomo Debenedetti), il colonnello fu un grande appassionato di «rime per l’occhio (rimes à l'œil)» e autore di epigrammi. Del colonnello si conoscono un quaderno d’appunti Apologia dell’aplologia sulla classificazione di alcuni giochi di parole e un poemetto o «carme» È morto Massinissa, 435 endecasillabi, ciascuno contenente uno o più antipodi, gioco di parole con cui una lettera, iniziale o finale, viene mandata agli antipodi delle lettere rimanenti, permettendo una rilettura da destra a sinistra, così come accade appunto con il nome «M-assinissa». Un’edizione integrale del libro, a cura dello stesso Dossena, sarebbe dovuta uscire con il titolo Una palla di pelle di pollo per l’editore Rizzoli. In un lettera del 16 ottobre 2003 Dossena mi comunicava: «Mettendo un po’ d’ordine ho raccolto È MORTO MASSINISSA E ALTRE POESIE DEL COLONNELLO M. Z. ROSSI; forse un giorno le manderò quei pochi fogli», che però non mi sono mai arrivati.
Un altro eteronimo italiano è l’attore veneziano Attilio Vecchiatto (1910-1993), di cui si ha notizia in Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto (1996) e Sonetti del Badalucco nell’Italia odierna (2010) di Gianni Celati, entrambi usciti da Feltrinelli. Dopo trent’anni di tournée in Sud America Vecchiatto fondò nel 1965 a New York un piccolo teatro shakespeariano, poi nel 1976, invitato in Francia, portò in giro i suoi spettacoli in molti paesi europei, ottenendo notevoli successi; infine nel 1988 rientrò in Italia con la moglie Carlotta. Nonostante la fama ottenuta all’estero – fu ammirato fra gli altri da Laurence Olivier e Jeanne Moreau – in Italia Vecchiatto non riuscì a trovare lavoro e fece un’unica recita nel teatrino di Rio Saliceto in provincia di Reggio Emilia. Oltre a drammi e saggi compose poesie fra cui 51 sonetti, detti del Badalucco che significa «svago» o «scaramuccia», figura emblematica del furbo italiano, sonetti in cui si parla del vivere e del morire, dell’amore e del disamore, ecc., ma specie di un’«Italia trista» che non sa cosa sia la vergogna, e poi dell’opulenza come insolenza e dell’ansia prodotta dal «borghese comfort della malora». Il 5 settembre 2010 ho avuto il piacere di assistere alla lettura della Recita dell’attore Vecchiatto fatta da Gianni Celati e Nunzia Palmieri al Teatro degli Impavidi di La Spezia.
Un cenno infine a Learco Pignagnoli, nato a Campogalliano e a San Giovanni in Persiceto, «personaggio unico, inedito e fuori misura» di cui recentemente sono uscite le Opere complete a cura di Daniele Benati (Aliberti 2006). Su Pignagnoli (c’è una voce a lui dedicata su Wikipedia) sono stati organizzati convegni, letture, raduni celebrativi, e hanno scritto critici qualificati come l’italianista Gino Ruozzi. Pignagnoli è autore del romanzo autobiografico Giacomo, di un’opera teatrale, di poesie e di racconti brevissimi intitolati Opera, numerati progressivamente. L’Opera n. 1 dice: «Conoscevo uno che sbagliava sempre le parole. Una volta voleva dire polipo, ha detto flauto»; l’ultima, l’Opera n. 245, recita così: «I dottori gli avevano detto che se mangiava un’altra fetta di mortadella moriva. Di mortadella ce n’è ancora, ma lui non c’è più».

Questo testo è uscito su il Caffè illustrato, 59-60, marzo-giugno 2011, p. 10.
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