Paolo Albani
IL COMODINO




Nella camera da letto dell’appartamento della famiglia Chiaretti a Milano c’è un comodino che, testardo come un mulo, continua imperterrito a fare i propri porci comodi come sono abituati a fare, insolenti e indolenti, i comodini, qualunque sia il materiale che li modella, legno, plastica, vetro, bambù non importa.
Difficile smuoverli, i comodini, dall’indolenza in cui si trastullano. È più forte di loro, sono nati sotto quella cattiva stella. Amen.
Al nostro comodino, piace molto la comodità. Del resto, non può essere diversamente, altrimenti tradirebbe la sua natura. È un comodino, mica un comò né tanto meno uno sgabello qualsiasi o un trespolo, che quelli sono di un’altra pasta, sono accomodanti e disponibili, metti loro sopra qualunque oggetto, anche un pappagallo, e non fanno una piega.
Il nostro comodino è abituato a sopportare ben altri pesi, a ospitare altre suppellettili: abat-jour, chiavi, libri, telefonini, anelli, sveglie, scatole di medicine, bicchieri pieni d’acqua per la notte, spazzole, documenti, in certi casi particolari profilattici e dentiere. Sono questi per lo più gli oggetti che ospita un comodino, di giorno e di notte.
La mamma del comodino, una cassettiera con lo specchio a mezza luna, e il piano di marmo, ancora di bell’aspetto, salvo qualche graffietto e scoloritura nel legno, disperata per la svogliatezza del figlio, non perde occasione di sgridarlo.
Lo prende in disparte e gli dice:
– Sei il solito sfaccendato, fai sempre quel che vuoi tu, ti metti lì stravaccato, in panciolle, sei proprio un comodino, degno figlio di quel cassettone di tuo padre.
Il comodino non si scompone, resta immobile. La mamma lo rimprovera ma lui niente, non batte nemmeno un cassetto (ne ha due piccolini con i pomelli di ceramica). Anzi. Più la mamma lo rimbrotta e più lui, quasi per ripicca, se la prende comoda.



Il nostro comodino è uscito dalla Fabbrica di mobili Castaldi di Monza, guarda caso, il 23 ottobre 1956, esattamente il giorno della cosiddetta «insurrezione o primavera ungherese», soppressa nel sangue dai carri armati sovietici. Dopo una sosta presso un negozio di mobili nel centro di Monza e varie altre peripezie e trasferimenti in città del nord Italia, passando dalle camere da letto di una decina di famiglie della piccola-media borghesia, viene acquistato nel 1981 in un mercatino milanese dell’usato dal signor Chiaretti, impiegato comunale, che lo adocchia insieme al gemello, imbucati con altri mobili degli anni Cinquanta, reti metalliche e cianfrusaglie di ogni genere.
Ho detto gemello perché il nostro comodino ha un fratello gemello, posizionato sul lato sinistro del letto della famiglia Chiaretti. Mentre lui, il nostro comodino, sta sul lato destro, guardando la testata del letto. A questo proposito, lui sostiene – ma si può credere alle affermazioni ideologiche di un comodino? – che non è un caso che lui sia destrorso, schierato a destra, nel senso di anticomunista, tutto nasce come reazione ai fatti di Ungheria. Sarà, ma ci credo poco.
Fra i due comodini non corre buon sangue. Questo perché ci sono delle disparità di accoglienza fra i due, che per il resto invece, ovvero in quanto comodini, cioè pelandroni, lo sono entrambi a parimerito. Però il comodino gemello ha solo un abat-jour da custodire, nient’altro sul groppone. E la ragione sta nel fatto che il signor Chiaretti, che è vedovo, dorme dalla parte del nostro comodino, a destra guardando il letto di fronte, e lo subissa di oggetti i più disparati.
Una vera ingiustizia – pensa il nostro comodino, che non ha scelto lui di starsene da quel lato del letto, il preferito del signor Chiaretti. Fosse dipeso da lui, che è di una pigrizia smisurata, figuriamoci, gli sarebbe andato bene anche un angolino defilato sotto la finestra o dentro il ripostiglio, fra i panni da stirare e i barattoli di vernice, ma in un ripostiglio non si è mai visto un comodino. Loro, i comodini, sono assegnati di preferenza ai lati di un letto, è per i letti che li progettano i designer dei mobili. È il loro destino. Vegliare su coloro che si sdraiano sui letti, che ci dormono sopra e magari sognano, di quando in quando, o ci schiacciano il riposino pomeridiano o ci fanno l’amore, da soli o in compagnia.
Quante cose, solo avessero la parola, potrebbero raccontare i comodini che per comodità non si schiodano mai dai lati di un letto. E anche il nostro comodino: quanti aneddoti e segreti potrebbe svelarci a proposito del signor Chiaretti, che dopo la morte della moglie, zitto zitto, si porta a casa, di nascosto al figlio che fa il metronotte, delle signorine di facili costumi. Li ha visti con i propri occhi, il nostro comodino, i soldi che il signor Chiaretti, timidamente, elargisce alle signorine al termine delle loro prestazioni.
Dove credete che li metta i soldi per pagare quelle signorine, il signor Chiaretti, che non è un puttaniere, ma ha solo bisogno di un po’ d’amore da quando (troppo presto) è rimasto vedovo? Li mette sul nostro comodino, ovvio. È da lì, dal piano del nostro comodino, che le signorine prendono i soldi per quei pochi minuti di piacere che danno al signor Chiaretti e, una volta rivestite, i soldi se l’infilano dentro il reggiseno.
Al nostro comodino non disturba affatto quel commercio “amoroso” (e peccaminoso), a lui non costa niente, si limita a guardare dal suo osservatorio laterale le contorsioni poco acrobatiche del signor Chiaretti. Lui, il comodino, non fa nessuna fatica, non per nulla è un comodino, e come tale non ha altro desiderio nella vita che passare il tempo comodamente.


maggio 2024

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