Paolo Albani
L'OSSERVAZIONE ROVESCIATA (*)

 

 

      Non distrarti, mia cara, continua a leggere lo spartito. Proseguiamo?

      Ma come si fa a non distrarsi, con tutta questa gente che ti osserva, che ti mangia con gli occhi, che passeggia davanti a te, spesso distrattamente, magari pensando ad altro.

   Ormai dovresti esserci abituata al pubblico, sono anni che vengono a vederti. Sei un’attrazione, mia cara. Una celebrità nel campo artistico.

      Vengono per abitudine, senza entusiasmo, per ingannare il tempo.

      Sei ingenerosa, qualcuno è sinceramente interessato alle tue fattezze.

      Alle nostre.

      Sì, va bene, all’insieme della scena.

      Sapete chi mi fa perdere la pazienza?

      Chi.

      Volete qualche esempio?

      Forza, spara.

      I ragazzi che si baciano furtivi, sotto i miei occhi, nella calca pensando di farla franca; le signore che si guardano intorno per scoprire come sono vestite le altre signore; quelli che parlano a voce alta, senza capire che disturbano; i frettolosi che sbirciano di continuo l’orologio; le persone che puntano il dito verso di noi, segnalando a un vicino un punto cruciale dello sfondo che ci ospita, un gesto che ha un preciso significato: «Se non era per me, non l’avresti mai visto. Sono bravo».

      Odiosi, quest’ultimi.

      Ricordo una giovane, da sola, con una maglietta blu e pantaloncini corti (suppongo fosse estate), che si avvicina a noi e quando è a venti centimetri chiude gli occhi.

      Una lettura mentale.

      E potrei continuare.

      Lo so.

   A me piacerebbe restare nell’anonimato, sono un po’ stanca di questa pubblicità.

      Allora non distrarti, non voltarti a guardare quelli che stanno davanti a te, sforzati d’ignorarli. Rimettiti a leggere lo spartito.

      Non è così facile.

      Concentrati sulla musica.

      C’è troppa confusione qui intorno.

      Basterebbe che non ti voltassi, come continui a fare da anni, e a non fissarli con quegli occhietti vivaci, pungenti.

      D’accordo potrei anche non guardarli, ignorarli, come dite voi, ma allora dovrei tapparmi gli orecchi, non ascoltare i loro commenti. È un brusio continuo, il più delle volte fastidioso, foderato com’è in gran parte di osservazioni superficiali, rimasticature di frasi fatte.

      Fai finta di nulla, non ascoltarli, che hai tutto da guadagnarci.

      Che noia.

   Dobbiamo lavorare sodo se vogliamo ottenere un buon risultato per il concerto. Queste ripetute interruzioni non ci aiutano, sono deleterie.

    Transita tanta di quella gente in questo spazio, frotte di comitive, visite guidate, classi di studenti, che non prestare ascolto a quello che dicono è impossibile.

      Non ragioniam di lor, ma guarda e passa, dice il poeta. Ora nel tuo caso, mia cara, se posso permettermi, sarebbe meglio che non ti ostinassi nemmeno a guardare, a mantenere lo sguardo dritto verso di loro, come ti ostini a fare da non so quanti anni, nonostante le mie suppliche.

      Avete paura che vi deluda?

      Ma no, che c’entra.

      Allora?

   Alcune persone, immagino, si sentono in imbarazzo, di fronte al tuo sguardo. Sei una fanciulla disarmante, una creatura così dolce, così angelica, che puoi indurre soggezione in chi si ferma a guardarti.

      E se vi dicessi, maestro, che mi volto perché l’imbarazzo è mio?

      In ogni caso mi chiedo: tenere la testa girata, come fai tu, a sinistra, e restare immobile in quella posizione per così tanto tempo, non mi sembra tanto salutare, una postura corretta, mia cara. Non temi che ti venga un torcicollo?

      Mi auguro di no.

      Certo, sei giovane.

      Sapete cosa ho sentito l’altro giorno?

      Dimmi.

      Un vecchio ritornello. Non vi farà piacere sentirlo ancora una volta.

      Cioè?

    Si avvicina un tale, occhialini tondi, capelli grigi corti a spazzola, ben vestito, sui cinquant’anni, insieme a una ragazza giovane, troppo giovane, ho pensato, per essere la sua amante, forse un’allieva…

      Le due cose non sono in contraddizione.

    Il tipo poggia gli occhialini sulla fronte, e avanza di qualche passo. Quasi mi sfiora con il naso, lo sfacciato. È lì, a due centimetri. Vedo perfettamente l’iride verde dei suoi occhi.

      Credi volesse baciarti?

      Scherza, sarebbe scattato l’allarme.

      Siamo al sicuro qui, è vero.

      L’uomo ha l’aria del critico d’arte, di quelli che la sanno lunga su come si danno le pennellate e si combinano i colori, che sembrano che vogliano quasi annusarle le superfici dei quadri, anche quando c’è un vetro a proteggerle. Nella mia lunga carriera di figurante seduta, ne ho visti a bizzeffe di personaggi così, che si atteggiano a grandi intenditori. E non sempre lo sono.

      Questo invece?

     Parlando alla ragazza, in modo professorale, da esperto, le spiega che il tema della musica è un’allegoria del corteggiamento, e ciò è avvalorato anche dal dipinto che sta alle nostre spalle, sulla parete di fondo, dov’è rappresentato un Cupido che ha il braccio sinistro sollevato e regge una carta; l’immagine, dice alla ragazza, è tratta da un famoso testo sugli emblemi dell’amore del 1608 e simboleggia la fedeltà a un singolo amante.

      Arguto il tipo, no?

   Cita perfino, nella totale indifferenza della ragazza, il titolo del libro: Amorum emblemata di Vaenius, dove i protagonisti sono dei puttini.

      È preparato, non c’è dubbio.

      È una vita che sento ripetere questa storia.

      Non ti convince?

    Non mi convince? Sapete meglio di me che la storia del nostro presunto intrigo amoroso è una fandonia, una falsità, non so chi l’abbia inventata.

      Non capisco, mia cara, ho sempre creduto che…

      Mi meraviglia che nessuno si affranchi da questi cliché interpretativi, per sostenere una tesi più verosimile, l’idea che il mio gesto, il volto girato verso il pubblico, è dovuto a un sentimento ben diverso dall’amore...

      Continuo a non capire.

      … che in realtà mi sono girata per sottrarmi a un vostro maldestro tentativo di baciarmi. Siete proteso verso di me, con le guance paonazze, sfiorate la mia mano destra con la scusa di sorreggere lo spartito. Perché nessuno ha mai compreso le vostre reali intenzioni?

      Quali intenzioni?

      E il fatto che mi sia bloccata a fissare l’osservatore, a rischio di prendermi un torcicollo, come dite voi, è perché spero che qualcuno, prima o poi, mi liberi, mi sollevi da questa situazione imbarazzante.

      Mi spiace, ho frainteso il tuo...

      Altro che Cupido! Ho sempre trovato stupido il vostro pressante trasporto per me.

      Sono affranto.

      Non scusatevi ora. Rischiate di diventare patetico.

      A questo punto il lavoro intrapreso per il concerto? Che fine fa?

      Per quanto mi riguarda, possiamo anche interromperlo qui!




Jan Veermer (1632-1675)



(*) Per scoprire chi sono i protagonisti di questo dialogo cliccate qui.

   

marzo 2020

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