Paolo Albani
PERPLESSITÀ



Sono le sette e mezzo del mattino e lo squillo fastidioso della sveglia mi fracassa i timpani, inesorabile, buttandomi giù dal letto. Assonnato, mi avvicino alla finestra. Fuori c’è già luce. Nell’aiuola del giardinetto di fronte a casa mia, noto un cane che annusa dei fiori, senza un’apparente padrone (ma un padrone deve avercelo, sarà lì da qualche parte, perché il cane ha un collarino munito di targhetta).

Vado in bagno e mi guardo allo specchio. Sulle guance, a macchie irregolari, s’intravedono dei puntini neri della barba. Mi passo una mano sul volto. Mi devo radere? Oppure no, lascio la barba incolta che oggi fa tanto “maschio interessante”?

Ho un attimo di esitazione.

Sono perplesso.




Che condizione è quella del “perplesso”? Datemi un sinonimo è vi solleverò il mondo racchiuso nel vocabolario. Alcuni sinonimi di “perplesso” sono: incerto, insicuro, dubbioso, esitante, confuso, tentennante, titubante, imbarazzato, scettico.

Quante sfumature di significato si annidano in una parola.

In genere si è perplessi di fronte a qualcosa, un problema non rinviabile, una scelta che richiede prontezza, una situazione da districare. Di fronte alla perplessità si agita lo spettro di un bivio, e in certe occasioni, perché no?, anche di un trivio o un quadrivio. Non mettiamo limiti alle vie di fughe o di aggiramento che si offrono alla perplessità.

Se la soluzione che si prospetta di fronte a noi fosse obbligata, ovvero se ce ne fosse una soltanto, perentoria, non eludibile, allora non si darebbe perplessità. Per sua natura, il “perplesso” si dibatte fra due o più alternative e il numero delle alternative, crescendo, fa sì che aumenti di pari passo il grado di perplessità da cui uno è investito o, forse sarebbe meglio dire, tormentato.

Ogni volta che fa capolino all’orizzonte, ci sentiamo in obbligo di sciogliere il nodo della perplessità, e non sempre lo facciamo nella maniera migliore, ottimale. Voglio dire che si può essere felicemente perplessi, ma questo non comporta automaticamente che ciò che sceglieremo, stimolati dal nostro status di individui perplessi, sarà alla fine la soluzione più efficace, la più soddisfacente.

Secondo alcuni la perplessità è associata a uno stato d’animo sognante, a una suggestione che si nutre di un fascino malinconico. Il “perplesso” è visto il più delle volte come una persona triste, prigioniera della propria inconcludenza, quasi sempre paralizzante, se non proprio uno sciocco. Quando diciamo a un altro: «Ti vedo perplesso», lo facciamo con lo scopo di sottolineare che la sua perplessità la percepiamo come un freno, un ostacolo al cambiamento, un sintomo di rinuncia.

Chi soggiace alla perplessità, in modo prolungato, caparbiamente, è ritenuto un perdente; uno che non ha le idee chiare, un confuso divagatore alla Tristram Shandy che si disperde in mille rivoli discorsivi, senza mai chiudere il cerchio, altrimenti non si lascerebbe sottomettere dalla perplessità, non ne resterebbe morbosamente affascinato.

Per quanto mi riguarda io vivo la mia perplessità in modo positivo, almeno mi sembra. Ritengo sia uno stimolo, un fattore che aiuta a non prendere decisioni affrettate. La fretta non è mai una buona consigliera. Il “perplesso” ci pensa due, tre volte prima di imboccare una strada, non si lascia travolgere dall’istinto o dall’improvvisazione. Valuta attentamente i pro e i contro. È un meditativo.

La perplessità, come dicevo, è sempre verso qualcosa, causata da qualcosa.

In questo momento, ad esempio, mentre rifletto sull’argomento e non riesco a prendere una decisione che sia una decisione, la mia perplessità scaturisce dalla domanda:

«Devo scrivere un testo sulla perplessità o è meglio che soprassieda?».



febbraio 2022

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