Paolo Albani
I «PROTOTIPI ZOPPICANTI»




A Marino



    Da anni, in paese, vivono due «prototipi zoppicanti». Sono una coppia ben assortita, di genere neutro. C’è voluto del tempo, ma ora tutti, in paese, vogliono bene ai «prototipi zoppicanti», li guardano con simpatia. Sono circondati dall’affetto della gente come la mascotte di una squadra di calcio.
    Il primo prototipo è un tizio con una gamba, la sinistra, più corta della destra di almeno cinque centimetri, così quando cammina è sbilanciato da una parte, sembra sempre sul punto di cadere, e qualche volta in effetti cade, se non trova un appiglio a cui aggrapparsi. Non capisco perché non usi un bastone o un treppiede ortopedico per restare in equilibrio. Forse il progettista si è dimenticato di munirlo di un attrezzo di sostegno o forse lo ha ritenuto non necessario, sbagliando i calcoli.
    Il secondo prototipo è l’opposto del primo, lui ha la gamba destra più corta della sinistra, anche lui di cinque centimetri circa, quindi arranca mentre cammina, dimena il tronco a sinistra e a destra, in un movimento altalenante, che se uno lo guarda dopo un po’ gli viene il mal di testa.
    In paese sono chiamati i «prototipi zoppicanti». Li conoscono tutti con questo buffo appellativo.
    Qualcuno non si trattiene e maligna, mette in giro la voce che, in quanto zoppicanti, siano prove mal riuscite, scarti, modelli difettosi. E allora? Se anche fosse? Di certo, la zoppia nulla toglie alla loro umanità, non ne scalfisce di un millimetro l’armonia dei sentimenti.
    Escono quasi sempre in coppia, i «prototipi zoppicanti», dato che vivono nello stesso stabile dove ha sede il laboratorio che li ha progettati. Stessa stanza, la numero 34, vicina al bagno.
    Se per caso incontrano per strada un anziano che traballa, munito di un bastone, mostrando una certa curvatura nel portamento, non si riguardano e si fermano a parlare con lui. Vogliono condividere la loro zoppicante condizione. Si sentono vicini a tutti coloro che sono portatori di una claudicazione evidente, di una storpiatura. Ma non escludono il piacere di soffermarsi anche con i cosiddetti «normodotati», parola bruttissima.

    In genere l’anziano, che non parla con nessuno durante la giornata, perché è solo e ha perso la moglie da poco e i figli sono in un’altra città o all’estero, s’intrattiene volentieri a fare due chiacchiere con i «prototipi zoppicanti», non gli pare il vero, sono personcine a modo i «prototipi zoppicanti», magari il terzetto ne approfitta e si siede su una panchina, se è lì vicino, tanto per passare qualche ora in compagnia, che uno, dopo, si sente meglio. Dimentica le tristezze. È una boccata d’ossigeno.
    Una volta, raccontano in paese (ma forse è una fandonia bella e buona), i «prototipi zoppicanti», in corso Garibaldi, all’angolo con via Ferruzzi, hanno incrociato un cestino dei rifiuti, infilato nel marciapiede, vicino alla parete di un palazzo antico, di fianco al forno Pane fresco di Oreste, e l’hanno scambiato per una persona con una gamba sola, un’asta nera di ferro. Gli hanno chiesto, al cestino, che stava ritto per miracolo, con un sacchetto di plastica abboccato dentro, se avesse bisogno d’aiuto. Il cestino, naturalmente, non ha risposto, è rimasto abbottonato, e i «prototipi zoppicanti» dopo qualche minuto d’attesa, di fronte al silenzio del cestino, se ne sono andati, dispiaciuti. Hanno scosso entrambi la testa, come a dire «Pazienza». Forse non aveva voglia di parlare, quel signore con una gamba sola, hanno pensato i «prototipi zoppicanti», che sono creaturine gentili e ingenue, che, per quanto il loro cuore sia artificiale, e abbiano due gambe asimmetriche, non li sfiora mai un pensiero cattivo, non sono mai propensi a credere che ci sia dell’indifferenza o peggio ancora della disumanità nell’atteggiamento del prossimo.
    Qualche volta i «prototipi zoppicanti» vanno al cinema Lux. Ci vanno di preferenza al mercoledì pomeriggio, perché il biglietto costa meno (il loro sussidio statale è modesto) e comunque la sera non vogliono fare tardi, devono rientrare presto a casa, prima che tramonti il sole, per non preoccupare il progettista che ha garantito per la loro buona condotta in questura. La maschera del Lux, che ha una gamba offesa, li accompagna in sala illuminando il percorso fra le file delle seggioline con una pila, e li fa accomodare non troppo vicino allo schermo. Sempre al solito posto. I film che i «prototipi zoppicanti» prediligono sono quelli di registi giapponesi, in versione originale.

    Mio zio Goffredo Puccetti, fratello di mia madre, era un generale dell’esercito in pensione. Aveva una gamba di legno, fin sopra il ginocchio, perché gli era esplosa una bomba a due passi durante la Prima guerra mondiale. Quando veniva a trovarci, si metteva seduto su una poltrona rivestita da un tessuto a fiori verdi. Nell’attimo in cui piegava la gamba di legno con un leggero tocco della mano, sentivo distintamente il clic della gamba di legno che s’inarcava, prendendo una posizione a L.
    Tutte le volte che ci faceva visita, lo zio Goffredo si prodigava nello stesso giochetto, cui abboccavo, credulone com’ero. Era bravo nell’esecuzione. Si tirava su un lembo dei pantaloni della gamba destra, quella di legno, fin quasi al ginocchio (la prima volta mi fece impressione vedere la gamba di legno, ero piccolino, 5 o 6 anni), poi diceva: «Attento, guarda bene la mia mano», io fissavo la sua mano, lui strusciava il pugno chiuso sulla gamba di legno, velocemente, come se volesse prendere qualcosa che era nascosto dentro le venature del legno, poi apriva il pugno sotto i miei occhi. Sul palmo della mano, aveva una monetina, dieci lire, che mi regalava. «Ohhhhhhhh!» sospiravo io, sbalordito.
    Per tanti anni ho creduto che la gamba di legno di mio zio Goffredo fosse piena di monetine da dieci lire, che lui via via riempiva per realizzare il suo giochetto.
    Oggi mio zio Goffredo non c’è più, e però sono convinto che se avesse conosciuto i «prototipi zoppicanti», gli sarebbero piaciuti, senza troppi preamboli, avrebbe fatto amicizia con loro, per via della complicità delle gambe fuori norma, sebbene diventate tali in contesti diversi, ma anche per una certa affinità mentale, un modo leggero e positivo di prendere la vita, che per quanto riguarda mio zio Goffredo gli derivava dalla disgrazia patita in guerra, che lo aveva reso invalido e allo stesso tempo meno intransigente con gli altri e con se stesso, mentre per i «prototipi zoppicanti» nasceva dall’essere frutto di un esperimento ingegneristico non del tutto felice, che forse, a sentire alcuni in paese, spiegava il loro carattere bonario.

febbraio 2024

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