Paolo Albani
SCETTICISMO


 

 

Forse non sarebbe corretto definire il mio amico Nando, diminutivo di Fernando, uno “scettico”, nel senso di un seguace di quella filosofia che implica la negazione o il dubbio intorno alle possibilità della conoscenza umana (si veda in particolare la dottrina di Pirrone di Elide vissuto nel sec. IV-III a.C.). Sta di fatto che qualsiasi cosa gli chiediate, la più banale e innocua di questo mondo, lui vi risponderà senza pensarci su:

     «Non ci credo».

 

      Faccio un esempio.

     Un giorno, in un bar, io e lui ci beviamo una birra. Nando mi sembra un po’ nervoso. Sbatte gli occhi di continuo, muove una gamba in modo ossessivo, mettendo in ansia anche me.

Ha un appuntamento con la sua ragazza, un’arpia che non transige sui ritardi.

A un certo punto Nando mi chiede:

     «Dimmi l’ora, per favore».

   «Le 16 e 42 minuti» gli rispondo dopo una sbirciata al quadrante del mio orologio.

      «Non ci credo» sbotta Nando.

    Quando fa così, cioè sempre, mi monta una rabbia ma una rabbia che lo prenderei a schiaffi se non fosse che è un bravo ragazzo. Non c’è alcuna provocazione nella sua diffidenza.

    «Ma che vuol dire che non ci credi, Nando? Ho appena controllato l’ora sul mio orologio che va benissimo. Cosa vuoi? Devo domandare conferma al CET, Central European Time. Ti farebbe stare più tranquillo?».

    «Spiritoso» ironizza lui, poi tira fuori lo smartphone e con un dito ci smanetta sopra.

Non mi stupirei se avesse aperto il sito dell’ora esatta in Italia.

 

     «Hai visto ieri la partita Olanda-Ucraina?» chiedo a Nando per telefono.

      «No».

     «Peccato, ti sei perso un grande spettacolo. È stata bellissima. Nel secondo tempo l’Ucraina perdeva due zero, ha rimontato due gol, nel finale però, a cinque minuti dal termine, l’Olanda ha marcato con Dumfries».

     «Non ci credo» spara perentorio Nando, come se la cronaca di quella partita fosse un evento opinabile, e non l’avessero vista milioni di spettatori in tv, oltre ai tifosi sugli spalti dello stadio di Amsterdam. Ci sono milioni di testimoni oculari che possono dichiarare, a dispetto dell’opinione scettica di Nando, che Olanda-Ucraina si è giocata veramente e il risultato è 3 a 2 per l’Olanda.

   «È su tutti i giornali on line. Controlla, se non ci credi» gli rispondo, conoscendo bene i miei polli, cioè lo scetticismo cronico e irragionevole che divora Nando.

     «Ah, i giornali, buoni quelli» commenta sarcastico Nando, che poi aggiunge:

«Scusa, ma ora devo proprio lasciarti, mi chiamano al cellulare» e riattacca.

     Non ho sentito nessuna suoneria di cellulare.

Di sicuro Nando mente per liberarsi di me.

 

       «Sai quanto tempo ci vuole per fare un uovo sodo?» chiedo a Nando.

       Prima che lui ci pensi, lo anticipo:

     «Dieci minuti dopo che l’acqua è arrivata in ebollizione. Si deve buttare l’uovo non appena l’acqua bolle, non prima, e va tolto con un cucchiaio per evitare di scottarsi le dita».

     «Non ci credo» è l’immancabile risposta di Nando che è bravo in cucina come io sono un esperto nel mettere le catene da neve alle ruote di una macchina.

      «Leggiti Ionesco e il suo Come preparare un uovo sodo» gli suggerisco. (1)

      «Assurdo!» commenta lui. «Ionesco? E che ci capisce Ionesco di uova sode?».

 

      Parlo con Nando di lettere degli scrittori. Siamo entrambi appassionati di diari e corrispondenze di personaggi storici. In una lettera del primo gennaio 1955 indirizzata a Jean Paulhan, che all’epoca dirige la «Nouvelle Revue Française», Louis-Ferdinand Céline usa la parola “sottomerde”, che a me piace moltissimo, perché quel “sotto” rende la parola “merde” ancora più offensiva, insolente. Non sei una semplice merda, che già sarebbe un onore, no, sei una “sottomerda”, qualcosa d’inferiore, di più spregevole. (2)

       «Non ci credo» ribatte Nando, anche che se non conosce – ne sono certo – le lettere agli editori scritte da Céline. Risponde così per partito preso. Un riflesso condizionato.

     «Come fai a sostenere che non è vero? Hai visto forse gli originali delle lettere di Céline?» gli chiedo.

    La conversazione muore lì. Nando fa finta di non aver sentito la mia obiezione.

È già da un’altra parte.

 

     Una volta, siamo nel mio studio prima di cena, gli racconto la storia di un tale, un certo Jean-Baptiste Pérès, morto il 4 gennaio 1840, conservatore di una biblioteca ad Agen, un comune francese nella regione della Nuova Aquitania.


Pérès è autore di un opuscolo più volte ristampato nel 1827 intitolato Comme quoi Napoléon n’a jamais existé, grand erratum, source d’un nombre infini d’errata à noter dans l’histoire du XIXe siècle (Come qualmente Napoleone non è mai esistito, ovvero grande errore, fonte di un numero infinito di cose errate da correggere nella storia del XIX secolo).

     L’opuscolo di Pérès inizia così:

 

Napoleone Bonaparte, di cui tanto si è detto e scritto, non è neppure esistito. Non è che un personaggio allegorico. È il sole personificato; e la nostra asserzione sarà provata dalla lampante dimostrazione che tutto ciò che di Napoleone il Grande ci è noto, è preso in prestito dal grande astro. (3)

 

   Finisco di leggere il brano e aspetto che Nando replichi come fa sempre, sfoderando il suo antipatico atteggiamento sospettoso.

E invece questa volta mi sorprende.

Sapete cos’ha il coraggio di dirmi?

    «…».

Nulla, non dice nulla. Tace.

     Di fronte al suo silenzio, allora gli chiedo:

«Forse non credi all’affermazione che Napoleone non sia mai esistito. E questo è normale, condivisibile. Altrimenti perché Manzoni avrebbe scritto Il cinque maggio? Quanto all’esistenza dell’opuscolo di Pérès, quello esiste davvero, e come. È conservato in varie biblioteche francesi, non è una fandonia. Altra cosa sono le prove apportate da Pérès per dimostrare che Napoleone è un personaggio fasullo, di fantasia. Queste sì che sono stupidaggini non credibili».

Per confermare l’esistenza del testo di Pérès, gli mostro l’immagine del frontespizio, scaricata in rete, di un’edizione del 1909 conservata nella Biblioteca Nazionale di Parigi.(4)

 

    Nando non muove un sopracciglio. Guarda l’immagine, l’avvicina al naso, la esamina attentamente come se fosse un bibliofilo navigato. Temporeggia, ma alla fine non si degna di rispondermi. Cambia discorso. È la sua strategia per eludere discussioni.

     Mi viene il sospetto che, nonostante la sua carica di scetticismo, l’incredulità verso tutto e tutti, trovi convincente la tesi di Pérès.

      Altrimenti avrebbe detto come sempre:

      «Non ci credo».

 

 

Note

 

(1) Eugène Ionesco, Come preparare un uovo sodo, in Teatro 2, traduzione e cura di Gian Renzo Morteo, Einaudi, Torino, 1967, pp. 363-367.

(2) Louis-Ferdinand Céline, Lettere agli editori, a cura di Martina Cardelli, Quodlibet, Macerata, 2016, p. 188.

(3) Jean-Baptiste Pérès, Come qualmente Napoleone non è mai esistito, ovvero grande errore, fonte di un numero infinito di cose errate da correggere nella storia del XIX secolo, in Jean-Baptiste Pérès, Richard Whately e Aristarrchus Newlight, L’imperatore inesistente, a cura di Salvatore S. Nigro, traduzioni di Carlo Guarrera e Stefano Rapisarda, Sellerio, Palermo, 1989, pp. 33-49; la citazione è a p. 35.

(4) Non è da escludere che Jean-Baptiste Pérès abbia scritto il suo opuscolo per canzonare Napoleone. «Ma sa che c’è gente che sottovaluta Napoleone? Lo sminuiscono, lo prendono in giro! Ma come si permettono?» dice un ufficiale in pensione, autore di una biografia di Napoleone, a Giampaolo Dossena che lo riceve a Milano quando lo scrittore cremonese lavora in una casa editrice. L’episodio è raccontato in Giampaolo Dossena, Guida a una Cremona leggendaria misteriosa insolita fantastica, Biblioteca Statale di Cremona, Cremona, 2010, p. 81.


novembre 2021
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