Paolo Albani
SCRIVERE VELOCE

  
   

    Esattamente due anni fa, d’estate, ho frequentato un corso di scrittura veloce. In meno di sei mesi ho imparato il metodo Jefferson, una stenografia inventata nel 1965 da Charles Jefferson (1921-1998), tipografo statunitense con la passione per le scritture veloci (Jefferson è nato il 21 gennaio del 1921, la stessa data in cui a Livorno è nato il Partito Comunista Italiano). Il suo metodo s’ispira, come quasi tutti, a quello inventato dal tedesco Franz Xaver Gabelsberger (1789-1849) nel 1834. Una caratteristica importante del metodo Jefferson è che può essere applicato a macchine appositamente destinate all’uso stenografico, in questo caso si parla di “stenotipia”. Uno dei metodi principali di stenotipia utilizzati in Italia è quello ideato da Antonio Michela Zucco (1815-1886), la cui «Macchina Michela», la prima al mondo a ottenere un uso pratico, è ancora oggi regolarmente utilizzata, in forma perfezionata e computerizzata, dal Senato della Repubblica italiana.
    Da tempo scrivo i miei testi, in prima stesura, usando il metodo Jefferson.
  Questo è l'incipit del primo racconto breve che ho composto interamente ricorrendo al metodo Jefferson:



    Il tempo di composizione di questo racconto, intitolato Sul filo del rasoio, prima di scendere in basso, è di 2’ e 15’’, due minuti e quindici secondi. Una fucilata. Per una mia curiosità statistica, ho l’abitudine di cronometrare il tempo di esecuzione. Una rapidità apprezzabile, tenendo conto che è la prima volta che mi cemento in un esperimento del genere. Ora lo faccio sempre, di cronometrarmi, quando scrivo un racconto in forma stenografica.
    La rapidità. Ne parla Italo Calvino in una delle sue Lezioni americane. (1) È qui che Calvino, esprimendo il desiderio di mettere insieme una collezione di racconti d’una sola frase, o d’una sola riga, cita – a proposito di concisione, un aspetto del tema che sta trattando – il racconto, insuperabile nella sua brevità, dello scrittore guatemalteco Augusto Monterroso: «Cuando despertó, el dinosaurio todavía estaba allí [Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì]». (2)
    Tradotta da me con il metodo Jefferson, quella riga diventa:



    Come sono arrivato alla scrittura veloce?
    La colpa (o il merito) è di Bernard Shaw (1856-1950), il drammaturgo irlandese. Shaw ha un pallino: vuole riformare l’alfabeto inglese, dice che l’ortografia inglese causa un enorme dispendio di tempo e di energie. Per questo Shaw scrive i suoi lavori usando il sistema stenografico Pitman. Il motto di Isaac Pitman (1813-1897), stenografo di fama mondiale, nominato Baronetto nel 1894, è: Il tempo risparmiato è vita guadagnata.
    Il sogno di Shaw di creare un nuovo alfabeto viene realizzato da Ronald Kingsley Read (1887-1975) negli anni Sessanta del secolo scorso.



    Qui sotto riporto il testo dell’articolo 1 della «Dichiarazione universale dei diritti umani» tradotta nell’alfabeto di Read:


All human beings are born free and equal in dignity and rights. They are endowed with reason and conscience and should act towards one another in a spirit of brotherhood.
[Tutti gli esseri umani nascono liberi e eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.]

    Resto affascinato dai segni inventati da Read, moderni geroglifici, una scrittura quasi magica. Dopo pochi mesi, scopro il metodo Jefferson che adatto alla lingua italiana. Un lavoretto macchinoso, ma di cui sono soddisfatto.
    Scrivere veloce mi fa sentire più leggero, più aderente alla realtà, più concreto, più conciso e libero, più tutto insomma. Sento che le parole, raffigurate in quegli scarabocchi, scivolano via che è una meraviglia, hanno un valore espressivo, cromatico, che non hanno se le scrivo nell’alfabeto convenzionale. È una sensazione strana, come se scrivessi in trance, o qualcuno guidasse la mia mano facendola svolazzare sul foglio.

    – Perché non hai scritto il racconto Scrivere veloce usando il metodo Jefferson – mi chiede mia figlia di sedici anni, liceo classico, cui l’ho fatto leggere. Lei, in assoluto, è la mia prima lettrice delle cose che scrivo, stenografate e non. Mi fido dei suoi giudizi, è una “recensora” intransigente, non risparmia critiche, sempre costruttive però.
    – Non l’avrebbe capito nessuno – rispondo.
    Al che vedo che lei abbozza una faccia stupita, come se avesse preso una medicina amara. Storce la bocca contrariata inarcando le sopracciglia.
    – Sarà come dici tu, ma credevo che la soddisfazione – ribatte – non consistesse nel farsi capire, ma nello scrivere veloce.
    L’osservazione non è campata in aria. A proposito dello “scrivere oscuro”, mi viene in mente Manganelli, un riflesso condizionato. (3)
    Mi piace quando m’incalza. È combattiva.
  Replico mostrandole un aforisma di Georg Christoph Lichtenberg scritto con il metodo Jefferson, che mia figlia conosce bene, sono stato il suo insegnante:


    Lei prende il foglietto con l’aforisma stenografato di Lichtenberg, lo legge e, senza un attimo di esitazione, scrive veloce:


     Mi arrendo. Come darle torto.



Note

(1) Italo Calvino, Rapidità, in Id., Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Garzanti, Milano 1988, pp. 31-53.
(2) Augusto Monterroso, Il Dinosauro, in Id., Opere complete e altri racconti, traduzione di Helen Carosi, Omero Editore, Roma 2013, p. 56.
(3) Giorgio Manganelli, Elogio dello scrivere oscuro, in Id., Il rumore sottile della prosa, Adelphi, Milano 1994, pp. 36-39.
   


settembre 2023

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