Paolo Albani
  IL TELESCOPIO

   
  
Ho comprato un nuovo telescopio. Quello che avevo prima non era tanto potente. Invece il nuovo, comprato ieri al BRICOCENTER, nel reparto «Astronomia fai da te», un Celestron HE21049 Powerseeker 27BN con accessori e treppiede in alluminio, ha una capacità di produrre un'immagine ingrandita, dopo aver raccolto la luce o altre radiazioni elettromagnetiche provenienti da un oggetto lontano, e dopo averla concentrata (la luce) in un punto, detto fuoco, che ha dello spettacolare. Credo che a livello amatoriale sia il telescopio più efficace e prodigioso che esista in circolazione, e costa anche il giusto, per le prestazioni che offre.

Ha il puntamento computerizzato e tanti altri requisiti per l’osservazione del cosmo che non sto a elencare. Mi trovo bene con il mio nuovo telescopio. Mi dà grandi soddisfazioni nell’osservazione del cielo.

L’altra notte sono andato in collina, in uno spiazzo che si apre in prossimità del cosiddetto «bosco dei sospiri», perché ci vanno le coppiette a fare l’amore. È un punto della collina immerso nel buio, non c’è un riverbero di luce, l’ideale per guardare le stelle con un telescopio. Erano le due di notte, sono andato in quello spiazzo (ci si arriva solo a piedi) per dare un’occhiata alla luna, che era piena quella notte.

Con un telescopio – ad esempio con un telescopio come il mio che ha una potenza ragguardevole – la luna mostra da vicino tanti dettagli che lasciano incantati: si vedono i suoi mari con la caratteristica superficie liscia e piatta e i crateri, diversissimi per forma e dimensione, e inoltre le lunghe catene montuose, che ricordano i nostri Monti Appennini o le Alpi, e le fratture del terreno che sembrano scie lasciate sulla sabbia da un lombrico.

Mentre guardo la luna con il mio nuovo telescopio, mi perdo in fantasticherie. Mi viene da pensare ai lunatici, cioè agli abitanti della Luna, strani individui come quelli descritti da Savinien de Cyrano de Bergerac in L'Autre Monde ou les États et Empires de la Lune che per abbozzare un particolare discorso, o un periodo in tutte le sue parti, muovono un dito, una mano, un orecchio, un labbro, un braccio, una guancia, e per indicare parole increspano una ruga sulla fronte o producono fremiti dei muscoli, rovesciano le mani, battono un piede, e lo fanno così rapidamente che non sembra sia un individuo che parla ma un corpo che trema.

Sulla rivista «Le Chat Noir» del 20 marzo 1886 il poeta e scrittore francese Charles Cros (è uno degli autori inseriti da André Breton nell’Antologia dello humour nero) traduce il titolo di un suo racconto Le caillou mort d'amour (Histoire tombée de la lune) in una bizzarra grafia lunare:

 

 

 

Cros è uno scrittore bizzarro, e anche un inventore: ha sviluppato vari metodi, in fotografia, per la lavorazione del colore, tanto che lo si può ritenere il padre delle foto a colori; ha contribuito inoltre al miglioramento della tecnologia del telegrafo. Sulla rivista «Cosmos» dell’agosto del 1869 Cros pubblica un Étude sur le moyens de communication avec les planètes, in cui propone un codice elementare di comunicazione dalla terra agli altri pianeti del sistema solare basato su segnali ottici ottenuti per mezzo di potenti luci elettriche, intensificate da riflettori. Un'altra idea, per la quale Cros ha cercato ripetutamente fondi dal governo francese, consiste nel puntare un gigantesco specchio su Marte in modo da sciogliere la sabbia e tracciare enormi iscrizioni sulla superficie marziana.

Mi ricordo anche, mentre sono lì davanti al mio nuovo telescopio, che nel libretto del dramma giocoso Il Mondo della Luna di Carlo Goldoni, con musiche di Franz Joseph Haydn, esiste un ritornello in lingua lunare che fa: «Luna, lena, lino, lana, lana, lino, lunala».

Continuo a ispezionare la luna nei pressi del «bosco dei sospiri» e canticchio: «Luna, lena, lino, lana, lana, lino, lunala». Mi diverto a zoomare su alcune zone desertiche, a frugare dentro gli spazi ombrosi che si aprono a fianco dei crateri. La luna è un pianeta affascinante (sarà colpa dei poeti), non ti stanchi mai di osservarla.

Sono le quattro del mattino e ogni tanto gli occhi mi si chiudono, ho dei piccoli colpi di sonno di cui mi accorgo perché, muovendo d’improvviso la testa in avanti, rischio di far cadere il telescopio che per fortuna tengo ben saldo con la mano destra, che stringe il treppiede.

«Luna, lena, lino, lana, lana, lino, lunala» ripeto. Fra poco sarà bene che rientri a casa, devo fare alcuni chilometri, circa trenta, in macchina. La strada è stretta e tortuosa. Una volta, di notte, ho rischiato d’investire un cinghiale. Potrei anche aspettare l’alba, ma sono stanco. Domani mi aspettano quattro ore frontali di insegnamento.

Ho di nuovo un colpo di sonno. Il telescopio si sposta leggermente sul terreno erboso, riesco per fortuna a non farlo cadere, con quello che mi è costato. Ora lo chiudo, lo ripongo nella sua custodia e torno a casa.

Prima di mettermi in viaggio, però, voglio dare un ultimo sguardo lassù, verso la luna. Un’ultima emozione.

Appoggio l’occhio sulla lente del telescopio, mentre dal «bosco dei sospiri» non viene il minimo rumore. Sono immerso in un silenzio magico, interrotto a tratti dal verso ripetitivo di un uccello, forse un gufo. In fondo al cilindro bianco del telescopio vedo riflessa l’immagine in movimento di una ragazza. È una bella ragazza, capelli rossicci, corpulenta, una spruzzata di lentiggini sulle gote, sembra una curvy irlandese. La ragazza si sta spogliando in una camera da letto. È sola. Adesso alza le braccia in alto e si sfila dalla testa una blusa azzurra. Poi tira giù la cerniera lampo della gonna che lascia cadere sul pavimento. Si guarda allo specchio. Toglie il reggiseno e gli slip piccolissimi, curvandosi appena. Ora è completamente nuda. Ha una carnagione chiara, bianchissima, color borotalco, bianca come la superficie della luna, quand’è piena, vista a occhio nudo nell’oscurità del cielo stellato.

«Luna, lena, lino, lana, lana, lino, lunala».

 

  

 agosto 2018

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