Paolo Albani
IL VICINO DI CASA

 

Per circa due anni, da un campione rappresentativo di alcuni quotidiani italiani, ho raccolto le dichiarazioni rilasciate dai vicini di casa di soggetti problematici, persone mentalmente instabili (senza lasciarlo intendere), protagonisti di gravi fatti di cronaca.

Considero tali ad esempio i suicidi, i pluriomicidi o comunque coloro che si sono macchiati di delitti efferati come sgozzare il convivente (moglie o marito) con un coltello da cucina o strangolarlo o ridurlo in fin di vita a martellate di notte o nel pomeriggio dopo un pranzetto a base di fettuccine alla papalina e coratella con carciofi, uccidendo magari nella concitazione anche la suocera (il suocero), la cognata (il cognato) o eventuali amici presenti, per loro sfortuna, sul luogo della tragedia; gente che ha soppresso in sonno i propri figlioletti o ne ha scaraventato qualcuno dalla finestra di una camera da letto o dalla terrazza di un appartamento all’ultimo piano: ancora assonati, i bambini nemmeno si sono accorti di precipitare nel vuoto sfracellandosi sul marciapiede; gente che ha distrutto un palazzo aprendo il gas di una vecchia cucina o ha appiccato il fuoco all’appartamento, in un gesto disperato, provocando un incendio propagatosi in un attimo alle abitazioni limitrofe, cagionando danni incalcolabili, mettendo a rischio la vita dei vicini, sorpresi nel sonno dalle fiamme.

Certi avvenimenti luttuosi, ho constatato, si consumano quasi sempre di notte. Questo forse perché uno la notte vuole dormire e se non ci riesce allora comincia a rigirarsi fra le coperte, si agita e alla fine è più facile, se ha dei macigni sul cuore, delle angosce represse, che si abbandoni a gesti inconsulti, a reazioni fuori controllo.

      Le dichiarazioni dei vicini di casa di questi soggetti, le più diffuse emergenti dalla mia indagine su un campione rappresentativo di quotidiani italiani (ho selezionato in tutto 237 dichiarazioni rilasciate da 169 femmine adulte e da 68 maschi adulti) hanno per lo più questo tono:

 

         L’ho incrociato il giorno prima della tragedia; era calmo, sereno, mi ha salutato con estrema cordialità per le scale, come sempre del resto. Mi ha sorriso, strizzandomi un occhio, e mi ha detto: «In gamba, mi raccomando, e su con la vita».

 

         C’incontravamo al bar dei fratelli Rovatti, scambiavamo due parole davanti a un caffè o una birra; per me era un tipo tranquillo, educato, sembrava una persona a modo, scherzava con tutti. Assomigliava un po’ a Gino Bramieri, quel comico che raccontava le barzellette in tv, e anche lui ne raccontava, una dietro l'altra..

 

    Non ho mai sentito delle urla provenire da quell’appartamento; per quanto ne so era una famiglia modello, senza problemi economici; lei aveva l’aria della ragazza seria e spensierata venuta dal Sud, soddisfatta del suo lavoro di parrucchiera. Lui un giovane affidabile, che volendo gli avresti anche prestato la macchina volentieri (a me però non è mai capitato).

 

         La sera prima del fattaccio li ho visti insieme, mano nella mano, una coppia ben assortita, affiatata, si erano trasferiti qui da due anni, tutti gli volevano bene. Brava gente, non c’è che dire. Avevano un cane brutto da far schifo, con il muso schiacciato, sempre incazzato.

 

         La vedevo sempre ai giardinetti, con i suoi due bambini, povere creature, che colpa ne avevano loro. Lei era sempre ben vestita, i capelli curati, affettuosa con i figli. Non l’ho mai vista alzare le mani su di loro. Uno zuccherino di donna.

 

         No, non li conoscevo bene, mi sembravano però due sposini felici, due personcine semplici, che rigano dritte, senza tanti grilli per la testa. Lui per arrotondare lo stipendio, di notte spacciava. Nessuno avrebbe immaginato che…

 

         Ecc. ecc.

 

    Di fronte a queste dichiarazioni dei vicini di casa di persone che hanno compiuto azioni tremende, inqualificabili, assurde, senza che nulla lasciasse presagire il loro comportamento violento e folle, mi viene spontaneo riflettere su quanto sia profondamente imperscrutabile l’animo umano (lo dice anche Prospero ne La tempesta di Shakespeare) e di quanto sia superficiale, approssimativa, fallace la conoscenza che abbiamo dei nostri simili.

Compresi noi stessi.

 

  

aprile 2018

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