LETTURE SALTELLANTI Mi piace leggere. Ritengo che leggere sia un’attività più essenziale dello scrivere, più densa, arricchente, lo ha detto anche Roberto Bolaño che «leggere è sempre più importante che scrivere». Fidatevi. (1) «Però», c’è sempre un però che fa capolino dietro gli spigoli provocanti della vita, che ci fa meditare e rimettere tutto in discussione. La verità è che non riesco a finire un libro, non riesco a leggere un libro fino all’ultima pagina. E mi rincresce, sono rattristato di questo comportamento castrante che m’impedisce di gustarmi un libro per intero, di sapere come vanno a finire le storie che intraprendo e che puntualmente interrompo poco dopo. Un coito interruptus sul piano della lettura. Una sospensione continua, sciagurata e mal digerita. La verità è che ormai da qualche tempo saltello da un libro a un altro. Ne inizio uno, arrivo a un certo punto, in genere dopo l’introduzione o il primo capitolo o giù di lì, e lo abbandono. Passo alla lettura di un altro libro. È sempre così, da anni. Che posso farci. Un qualcosa, una frenesia, una «vocina» (che sento distintamente, come se qualcuno mi sussurrasse all’orecchio) mi spinge a soprassedere, a voltare pagina (letteralmente) e andare oltre il testo che sto leggendo. Sul mio comodino, a fianco del letto, si accumula una pila di libri presi con l’intenzione e la voglia di leggerli, ma subito dopo abbandonati. Una pila che a vederla mi rende nervoso, perché testimonia della mia incostanza di lettore compulsivo, della mia incapacità di leggere un libro da cima a fondo. Ogni tanto la sfoltisco, la pila (anche perché rischia di franarmi addosso), ma in un attimo si allunga di nuovo. Credetemi, è un continuo tira e molla, un levare e un rimettere libri sul mio comodino, aprirli per la lettura e prenderne le distanze subito dopo. I libri cambiano, la pila resta. Un’azione che mi deprime, che mi fa soffrire. E non è che l’interruzione si consumi perché il libro non sia interessante, o non mi stuzzichi, non abbia frecce al proprio arco, cioè validi motivi per farsi leggere (a dire il vero, qualche volta sì, mi capita d’interrompere la lettura perché mi annoio, mi rendo conto che le pagine che sto leggendo, sebbene minime, mi lasciano indifferente, sono di una noia mortale e il libro, per le pagine a venire, a naso, non promette niente di buono, perciò meglio chiuderlo e lasciarlo al suo destino di non-letto). Quasi sempre però abbandono la lettura perché, in una smania di ripensamenti e di stimoli mancanti, mi perdo dietro la ricerca di storie nuove, e allora, prima di finire il libro appena iniziato, mi dico: «Vediamo se trovo qualcosa di meglio. Ho bisogno di qualcosa di più forte, di più penetrante». Pensate che una volta ho persino interrotto la lettura di un libro di Antonio Bux che, ironia della sorte, s’intitola: L’interruzione, edito nel 2023 dalle Edizioni Progetto Cultura di Roma, «una casa editrice a conduzione familiare». (2) ![]() Sembra quasi un paradosso, no? Uno scherzo. Interrompere un libro che si chiama L’interruzione. Una tautologia perversa. Ma è successo. Dopo questi versi: Sono scettico riguardo i pianeti preferisco il soffiare del vento ma pure quello mi lascia perplesso non viene da un corpo terreno ha un rumore di vita scomparsa. mi sono bloccato, ho chiuso il libro di Bux e ho deciso di non andare più avanti. A tutto c’è un limite, che diamine! A ogni buon conto, non mi pento di quello che ho fatto, di aver interrotto la lettura de L’interruzione. Per niente. C’è un raro disturbo del linguaggio, il «complesso della frase a metà», detto anche «complesso di Lindegren» dal nome del medico svedese Dan Lindegren che per primo ha studiato il fenomeno nel 1916. Chi è preso da questo disturbo, ha come un improvviso vuoto di memoria, una forma blanda, temporanea di amnesia che gli impedisce, malgrado ci metta tutta la buona volontà, di completare una frase, una frase qualsiasi, anche la più banale, di portarla a termine, di scandirla per intero. (3) La dinamica è questa. Una persona con il «complesso di Lindegren» entra in un bar, si avvicina al bancone e rivolto al barista, alzando una mano per attirarne l’attenzione, gli dice: – Per favore, vorrei un caf… – e sul mozzicone di tre lettere caf si ferma, si paralizza, non riesce a portare a termine la frase. Non ricorda più la parola che intende profferire. Così, il più delle volte, abbassa la mano e, mortificato, esce dal bar, con il barista che non capisce perché il cliente si sia allontanato di colpo. Il mio disturbo, sempre che lo si possa definire tale, è simile al «complesso di Lindegren», solo che invece di lasciare a metà una frase, io abbandono la lettura di un libro, e non è detto che ciò accada a metà del percorso, può accadere anche prima, molto prima. Se devo dirla tutta, e a questo punto la voglio dire per liberarmi di un peso, io non è che saltello solo quando leggo i libri, lo faccio anche in altri frangenti. Eh sì, figurarsi, fosse solo una questione di libri. C’è di più. Saltello ad esempio anche in amore, saltello da una donna all’altra, non riesco a avere un rapporto stabile, duraturo, saltello da un letto a un altro, da un innamoramento all’altro, ho l’innamoramento facile, e saltello anche nelle amicizie, le brucio dopo un po’, ho bisogno di cambiare (saltellare) da un amico a un altro, per uno spiccato senso di asocialità. Saltello pure nei lavori, cambio lavoro spesso, che mia madre è disperata e dice che sono un disastro perché perdo il lavoro con una certa frequenza, e mi faccio licenziare appena qualche mese dopo dall’assunzione, che la cosa non è normale, dice lei, mia madre, saltellare così, come mi succede anche con le abitazioni, perché saltello anche sul versante delle abitazioni, nel senso che cambio casa di continuo, il che significa fare traslochi di continuo, uno stress infinito, scatoloni di libri che sono il terrore dei traslocatori, senza considerare che, cambiare casa minimo due o tre volte all’anno, comporta non radicarsi in un quartiere o in una città. Non avere un’identità geografica. E saltello pure nello sport, ho praticato un sacco di sport, il calcio, il nuoto, la pallavolo, il tennis, persino la boxe (che nella boxe ho preso tanti di quei cazzotti che ho smesso dopo tre mesi, andavo sempre al tappetto, finché il mio allenatore un giorno mi prende in disparte e mi dice, serio: «Ragazzo, forse è meglio che cambi aria»). Per un certo periodo, ho provato anche con l’atletica, il salto in lungo e quello con l’asta, le mie specialità. Però, visti gli scarsi risultati, ho deciso di prendermi una pausa, un saltello di lato, per farmi da parte, così ho appeso al muro le scarpette da corsa e mi sono allontanato da ogni attività sportiva, senza rimpianti. Oggi vivo ancora così, sballottato fra un salto e l’altro, una rimozione e l’altra, dai libri allo sport, dagli amori ai traslochi, tanto che alla fine mi è venuto un dubbio. Forse questa mia condizione saltellante è più diffusa e condivisa di quanto sia lecito immaginare. Forse la vita, e non solo la mia, ma tutta l’esistenza umana, di tutti gli esseri viventi, approntata a un incerto saltellare qua e là, in ogni circostanza e svincolo congiunturale che affrontiamo, è per ciascuno di noi, volenti o nolenti, un’incognita aperta verso l’irrisolto, un salto nel buio. Non so come la pensiate voi… Note (1) Tra le pagine più affascinanti che siano state dedicate all’attività di leggere, c’è una prefazione – Sulla lettura – scritta da Marcel Proust in occasione della traduzione proustiana di Sesamo e gigli (1906) del critico inglese John Ruskin (1819-1900). Si veda Marcel Proust, Il piacere della lettura, traduzione di Donata Feroldi, prefazione di Emanuele Trevi, Feltrinelli, Milano 2016. (2) Antonio Bux (Foggia 1982) ha pubblicato, tra gli altri, Trilogia dello zero (Marco Saya 2012), Naturario (Di Felice 2016), Sasso, carta e forbici (Avagliano 2018), La diga ombra (Nottetempo 2020) e Gemello falso (Avagliano 2022). In spagnolo ha pubblicato 23 – fragmentos de alguien (Buenos Aires 2014), El hombre comido (Buenos Aires 2015), Saga familiar de un lobo estepario (Toledo 2018) e in dialetto foggiano le sillogi Lattessànghe (2018) e Ki uarde e nun uarde (2022). Come traduttore ha curato vari volumi, tra i quali Finestre su nessuna parte di Javier Vicedo Alós, Bernat Metge di Lucas Margarit e Contro la Spagna e altri poemi non d’amore di Leopoldo María Panero. Redattore della rivista «Avamposto», ha fondato e dirige il blog «Disgrafie» e collabora con alcune case editrici. Nel 2023 pubblica per RP Libri Mappe senza una terra, libro entrato nella dozzina finalista del Premio Strega Poesia 2024. (3) Ne ho accennato nel mio Fenomeni curiosi, e-book, Quodlibet, Macerata 2014. luglio 2025
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