L'UOMO DELLA STRADA
Da alcune settimane, come sociologo, tengo un seminario all’Università
degli Studi di Napoli Federico II su un fenomeno poco indagato, ritenuto
a torto marginale: la «casalinga di Voghera».
Chi è «la casalinga di Voghera»? L’espressione è usata, dai suoi detrattori, a proposito della scrittrice Carolina Invernizio (nata a Voghera nel 1851, morta a Cuneo nel 1916). Virtuosa signora della buona borghesia piemontese nella vita quotidiana, Carolina Invernizio, con la sua prosa di facile lettura per un pubblico illetterato, raggiunge una notevole fama in tutta Europa come autrice di popolari romanzi d’appendice, firmandosi con il suo cognome da coniugata (“Signora Quinterno”). Gli intellettuali che odiavano il suo successo presero a chiamarla “la Casalinga di Voghera”, “l’onesta gallina della letteratura popolare” [Antonio Gramsci], “la Carolina di servizio”. [...] A difenderla fu lo scrittore Alberto Arbasino, anch’egli di Voghera. [...] Ma fin lì, era un dibattito tra pochi. Poi arriva Beniamino Placido, critico televisivo della “Repubblica” che recensisce un programma di Bruno Vespa e lo accusa di un linguaggio “politichese” incomprensibile “alla casalinga di Voghera”. E, come ogni tanto succede, la casalinga di Voghera diventa reale. (1) Sulla casalinga di Voghera, Arbasino scrive una sorta di rap: La casalinga di Voghera non è mai stata una vera signora dei salotti o salottini, casotti o casini. Né tanto meno una signorina buonasera che va bene su tutto e con tutti – il rito del cappuccino, il mito dello stuzzichino, il ‘cult’ degli sfizi con pizze e cozze e coccole e caccole alla rucola per frùgoli e tòpole. Non è più una portatrice cogliona di luoghini comuni e pregiudizietti ridicoli. Ora si è data una ‘eccellente’ regolata soprattutto sui ‘must’, e le frasi fatte. Batti e ribatti e strabatti FINALMENTE è diventata ANCHE LEI – come tutti dissacrante e irriverente e controcorrente, fuori dal coro come tutto il ‘giro’. Così, la casalinga al potere impone, come ‘trends’ e icone tutti i valori post-trasgressivi e neo-provocativi, e già ‘lavativi’ della piccola e piccolissima borghesia. (Ma, in provincia, si ‘trende’ e si gode a esagerare le ultime mode). Sempre a posto, perfetta nella sua trasgressione giusta e nella provocazione più che corretta – impietosa e scomoda e sadomaso, secondo il best trend hard-boìled. Detterà i comportamenti centrali culturali e civili, di sinistra e di destra, anche agli stilisti che determinano il prèt-à-porter GLOBALE. Non si hanno più remore né ritegni, signora mia, a Voghera. ... E poi, com’è ecumenica. Non la si crede mica unica. Quando la va in crociera si rende simpatica chiedendo scusa anche agli eretici e agli scismatici per tutte le mascalzonate di tutti i cattolici e non solo i crociati o i crocieristi di Voghera. (2) Fin qui le caratteristiche sommarie della casalinga di Voghera, commiserata come «portatrice cogliona dei luoghini comuni e pregiudizietti ridicoli». Adesso invece, in questo contesto, voglio riflettere, pur restando nella sfera degli stereotipi dell’anonimato, su un collega della casalinga di Voghera, un omologo maschile, anche lui bistrattato e vituperato dai più (ne discutiamo nel seminario). Il suo nome non è legato a nessuna città o luogo geografico particolari, ma a uno spazio dove albergano e si diffondono discorsi improvvisati, vuoti, scempiaggini condite in ogni salsa, affermazioni gratuite, qualunquiste. Sto parlando del cosiddetto «uomo della strada», altra figura anonima e problematica della tribù degli umanoidi. Dico “anonima” perché nessuno l’hai mai visto davvero, di persona, questo «uomo della strada», di cui si parla spesso, non di rado a sproposito, come di un soggetto mediocre, privo di qualità interessanti, un tipo ordinario, grigio, insignificante. Un campione di banalità. ![]() Ebbene, l’altro giorno ho un colpo di fortuna, di quei colpi inaspettati che uno (specie se si occupa professionalmente di certi fenomeni sociali), dopo averli avuti, si riprende dalla sorpresa e gli viene da dire: «Cazzo, che fortuna!». M’imbatto per caso in un «uomo della strada». Faccia a faccia. È lui, lo riconosco. Attenzione: non si tratta di un ideale «uomo della strada», di un astratto rappresentante della medietà del genere umano, una persona senza il minimo spessore, campata in aria, al contrario è un tizio in carne e ossa, uno che, per come si muove, per come parla, per il modo di vestire, per la pettinatura, l’espressione del volto, gli atteggiamenti, la gesticolazione, l’inclinazione della voce, lo sguardo, l’elaborazione dei pensieri, e tante altre minuzie che sommate insieme danno una «forma-tipo», è in tutto e per tutto un autentico «uomo della strada». Un classico nel suo genere. Non c’è nessun margine d’errore, impossibile sbagliarsi. Tutto corrisponde alla perfezione, in ogni minimo dettaglio. La fisionomia dell’«uomo della strada» (più volte discussa nel seminario che dirigo) è ben riconoscibile. Il tipo in cui m’imbatto fa parte di quella consorteria lì, ne è un membro effettivo. Dove lo incontro? Domanda ingenua. Per strada, ovviamente, e dove se no? Seduto al tavolino di un bar, all’aperto, che si beve un caffè, in piazza dei Martiri a Napoli, verso le 11 del mattino, mentre sto andando a trovare un carissimo amico che abita nel palazzo di fianco al bar. Lo riconosco subito, a pelle, l’«uomo della strada», questione di fiuto (un fiuto da sociologo). Mi avvicino al suo tavolino e gli chiedo se posso sedermi. Lui acconsente, gentile. – Ci conosciamo? – mi chiede. – Ho sentito parlare spesso di lei – rispondo, e mentre lo faccio alzo una mano per richiamare l’attenzione del cameriere, e farmi portare una spremuta di arancia. – Lei è molto popolare, lo sa? La tirano sempre in ballo, specie i politici, i giornalisti, i mass media – gli dico. Lui ascolta, non fa una grinza. Gli spiego che mi sto occupando per motivi professionali – sono un sociologo – della «casalinga di Voghera», una donna-simbolo che «con lei, me lo lasci dire, ha molti tratti in comune». L’«uomo della strada» sorride, sembra lusingato dall’accostamento, sebbene, credo, ignori il perché. – Non sono mai stato a Voghera – ammette. Poi, girando il cucchiaino dentro la tazza del caffè, aggiunge: – Non è per caso che mi sbaglia con un altro, magari un «compagno di strada»? – No, no – protesto amichevolmente. – Il «compagno di strada» è un’altra faccenda, indica un simpatizzante di una organizzazione politica che, però, non fa parte in modo formale di tale struttura. Sembra che l’espressione l’abbia inventata Lev Trockij. Senza offesa, – sento il bisogno di precisare – lei si muove su un altro piano, quello del senso comune, dell’opinione che non brilla, terra terra. – Ah, capisco – fa l’«uomo della strada». Sorseggia il suo caffè. Sembra che stia rimuginando su un pensiero che gli sfarfalla in testa, gli sbatte dentro, un’idea da «uomo della strada». Poggia la tazzina sul tavolo, si pulisce le labbra con un fazzolettino di carta e mi chiede: – Vuol sapere cosa penso dei sociologi? – Certo, come no – rispondo incuriosito. Ne ho sentite tante di campane sui sociologi e le loro ricerche. Una in più… – Sono degli «scienziati della strada». – In che senso? Che lavorano sul campo? – chiedo lumi. – No, nel senso che sono degli idioti – mi ghiaccia. – Degli idioti senz’alcuna utilità. Tipica risposta da «uomo della strada», che non a caso viene formulata al tavolino di un bar. Tutto torna. Note
(1) Enrico Deaglio, Patria 1978-2008, il Saggiatore, Milano 2009, p. 258. (2) Alberto Arbasino, Il ritorno della casalinga, in Id., Rap, Feltrinelli, Milano 2001, pp. 19-20. Sempre di Arbasino, nello stesso libro, si veda: Il Rap della casalinga-contro (pp. 21-23). aprile 2025
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