Paolo Albani
BREVE DIGRESSIONE
SU UN RACCONTO CHE NON ESISTE
 
  
   


A Giovanni C.,
che ne ha scritti molti
di racconti di questo genere.



A un primo, superficiale approccio, potrebbe sembrare un paradosso, ma questo è un racconto che non esiste, nel senso letterale del termine. Il che significa che il racconto qui riprodotto, dove si parla di un racconto che non esiste, non pretende lo si consideri un racconto, a tutti gli effetti, secondo il canone dominante. E questo, credetemi, non è un giochetto di parole, un trucco illusionistico. Nemmeno la parodia, tanto per intenderci, dell’espressione ingannevole (e seduttrice) di Magritte quando mostra una pipa e scrive: CECI N’EST PAS UNE PIPE.
    Ma se questo racconto non esiste, allora cosa stiamo leggendo? vi domanderete (mi metto nei panni dell’avvocato del diavolo di me stesso).
    Bella domanda.
    Questo racconto non è davvero un racconto. Potete starne certi. E chi lo dice? Lo dico io, che sono l’autore di questo racconto che non esiste. Perciò tranquilli, fidatevi.
    Non siamo dentro le pieghe di quei raggiri che gli scrittori, da marpioni, escogitano chiamando i loro racconti impossibili (Tommaso Landolfi) o invisibili (Ernesto Ragazzoni) o formati da pagine bianche (David Lodge) o mai scritti (Marcel Bénabou, George Steiner). (1)
    Non c’entrano niente questi espedienti maldestri o sperimentazioni arzigogolate con il racconto contenuto nello spazio tipografico che avete davanti.
    Il mio, lo ripeto, è un racconto che non esiste, sotto qualsiasi prospettiva lo si guardi.
    Parafrasando la lista stilata da Italo Calvino a proposito dei libri non letti, sostituendo alla parola “Libri” la parola “Racconti”, avremo:

Racconti Che Puoi Fare A Meno Di Leggere; Racconti Fatti Per Altri Usi Che La Lettura; Racconti Già Letti Senza Nemmeno Bisogno D’Aprirli In Quanto Appartenenti Alla Categoria Del Già Letto Prima Ancora D’Essere Stato Scritto; Racconti Che Se Tu Avessi Più Vite Da Vivere Certamente Anche Questi Li Leggeresti Volentieri Ma Purtroppo I Giorni Che Hai Da Vivere Sono Quelli Che Sono; Racconti Che Hai Intenzione Di Leggere Ma Prima Ne Dovresti Leggere Degli Altri; Racconti Troppo Cari Che Potresti Aspettare A Comprarli Quando Saranno Rivenduti A Metà Prezzo; Racconti Idem Come Sopra Quando Verranno Ristampati Nei Tascabili; Racconti Che Potresti Domandare A Qualcuno Se Te Li Presta; Racconti Che Tutti Hanno Letto Dunque È Quasi Come Se Li Avessi Letti Anche Tu; Racconti Che Da Tanto Tempo Hai In Programma Di Leggere; Racconti Che Da Anni Cercavi Senza Trovarli; Racconti Che Riguardano Qualcosa Di Cui Ti Occupi In Questo Momento; Racconti Che Vuoi Avere Per Tenerli A Portata Di Mano In Ogni Evenienza; Racconti Che Potresti Mettere Da Parte Per Leggerli Magari Quest’estate; Racconti Che Ti Mancano Per Affiancarli Ad Altri Racconti Nel Tuo Scaffale; Racconti Che Ti Ispirano Una Curiosità Improvvisa, Frenetica E Non Chiaramente Giustificabile; Racconti Letti Tanto Tempo Fa Che Sarebbe Ora Di Rileggerli. (2)

    Nessuna di queste categorie, estrapolate dalla citazione di Calvino, rientra in quella di cui sto parlando in questo momento, ovvero il racconto che non esiste. E non esiste – lo ribadisco – semplicemente perché non è mai stato concepito, progettato e quindi realizzato. Non è nemmeno rintracciabile nel limbo dei racconti a venire, potenziali. Non ha alcuna consistenza o parvenza di un racconto. È un racconto, per dirla tutta, che, nell’attimo stesso in cui prende forma, si autodistrugge, nega sé stesso. E lo nega di fatto, non a parole.
    Manganelli (che si autodefiniva «esperto di cose inesistenti») ha parlato di non-nati, cioè di individui mai venuti al mondo (la maggioranza, se raffrontati ai “nati”); allo stesso modo il racconto (o meglio il “resoconto”) che state leggendo non ho alcuna difficoltà a definirlo un non-racconto.
    Si potrebbe scrivere una Storia letteraria dei racconti che non esistono, un volume di molte pagine, in cui parlare, ad esempio, dei racconti mai scritti da James Joyce, da Céline o da Canetti o da Nabokov. Vi siete mai chiesti se Antonio Delfini abbia scritto un racconto sulla pesca a strascico o se Goffredo Parise si sia occupato, in un racconto, delle frodi alimentari? Nessuno dei due scrittori lo ha mai fatto, non ha mai scritto racconti sulla pesca a strascico o sulle frodi alimentari. Sono racconti che non esistono nelle loro biografie. Sarebbe inutile cercarli.
    Una furbata che non digerisco è quella degli scrittori che scrivono un racconto (o un romanzo) sul tema dell’impossibilità di scrivere un racconto, e su questa impossibilità di scrivere un racconto costruiscono il loro racconto (esistono anche film su registi che non riescono a fare un film, e il film è un pretesto per descrivere i tormenti di un regista in crisi che non riesce a fare un film). (3)
    Quante volte ci siamo imbattuti in questa grottesca, e allo stesso tempo truffaldina, messa in scena. Viene quasi da sorridere.
    Il mio racconto – spero sia ben chiaro – non è un racconto sull’impossibilità di scrivere un racconto, viaggia, lasciatemelo dire, su un’altra dimensione concettuale, su un altro pianeta letterario. Il mio racconto che non esiste lo è sul serio inesistente. Non è una burla. Non sto simulando di non scrivere un racconto, mentre invece, sotto sotto, zitto zitto, lo sto scrivendo, che è – come già detto – un procedimento vecchio come il cucco, un artificio consunto, ormai andato in soffitta.
    Tutti coloro a cui ho rotto le scatole affinché avessero la pazienza di leggere questo racconto che non esiste mi hanno fatto la stessa obiezione: Scusa, ma perché scrivere un racconto su un racconto che non esiste? Bastava limitarsi a non scrivere nulla, astenersi dalla scrittura, e tutto sarebbe finito lì, con buona pace tua, e del racconto che non esiste.
    L’obiezione, lo ammetto, ha una sua logica. Ma dimentica un particolare.
    Per rendere conto dell’inesistenza di un racconto bisogna fornirne la dimostrazione, imboccare la strada giusta, e l’unica dimostrazione praticabile è scrivere un racconto che non esiste.
    In fondo è questa la ragione per cui mi sono deciso a scrivere questo sracconto (se ci sono le sconclusioni, allora possono darsi anche gli sracconti) che avete sotto gli occhi, un piccolo tassello per la conoscenza di quello che è un racconto che non esiste, perché, come dice Vladimir Jankélévitch, «Una conoscenza alla quale manca qualcosa può essere vera, e una conoscenza alla quale non manca niente può essere falsa!». (4)


Vladimir Jankélévitch (1903-1985)

  
     «Jankélévitch? Non so nemmeno chi sia» – mi chiede un amico, accarezzandosi il mento, perplesso. «Che c’entra questa citazione?».
    C’entra, c’entra – gli rispondo –, l’osservazione di Jankélévitch, filosofo francese, casca a pennello, perché mette il dito nella piaga: non c’è nulla che si riesce a conoscere in modo soddisfacente, figurarsi la morfologia di un racconto che non esiste.


Note

(1) Sul tema dei libri non scritti, mi permetto di rimandare al mio Su alcuni libri progettati e mai scritti, «Culture del testo e del documento. Le discipline del libro nelle biblioteche e negli archivi», 30, settembre-dicembre 2009, pp. 5-10.

(2) Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Einaudi, Torino 1979.

(3) Sui film nei film: Alberto Anile, Dizionario del cinema immaginario. I film che esistono solo dentro i film, prefazione di Paolo Mereghetti, Lindau, Torino 2019.

(4) Vladimir Jankélévitch, Il non-so-che e il quasi niente, introduzione di Enrica Lisciani Petrini, traduzione di Carlo A. Bonadies, Einaudi, Torino 2011, p. 140.



novembre 2023

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