Paolo Albani
DISCORSO FILOSOFICO
ALLA MANIERA DI MARTIN HEIDEGGER


per la presentazione del progetto della The Rolling School

Spazio Gerra di Reggio Emilia
(piazza XXV Aprile, 2)
14 dicembre 2015








    Quando Gian Franco Gasparini mi ha parlato della Rolling School e del progetto intitolato «la manutenzione del quotidiano», mi sono ricordato che sul quotidiano, cioè sulla vita di tutti i giorni segnata spesso da un senso di noia e da una disarmante coazione a ripetere, avevo qualche tempo fa sviluppato una riflessione filosofica un po’ – non vi sembri presuntuoso – alla maniera di Martin Heidegger il cui modo di ragionare segue quasi sempre un ritmo stilistico in cui si alternano domande e risposte.
    La riflessione era questa.
    Quando in un determinato contesto storico e spaziale io dichiaro in modo perentorio: «Mi sono rotto i coglioni», stato d’animo profondamente connaturato all’essenza stessa della vita quotidiana, che cosa intendo dire esattamente con una simile affermazione? Per rispondere a questo interrogativo, evitando di arenarsi in vuote e farraginose disquisizioni, conviene partire in primo luogo da un approfondimento del significato dell’espressione «Mi sono rotto».
    Procedendo per approssimazioni successive è opportuno domandarsi subito: quale senso dobbiamo attribuire all’iniziale e iniziatico «Mi sono»? Un primo livello di spiegazione investe il ruolo del pronome «mi», classico sostituto del nome che in forma atona o debole esprime la prima persona singolare. Com’è noto esso corrisponde alla forma tonica o forte «me» e dunque rimarca senza alcun dubbio che il soggetto della frase è un «io», per quanto mascherato da un «mi» avente valore di semplice indicazione. Dove conduce questo ragionamento? Ci porta a dire che sono io a essermi rotto, e non un io diverso da me oppure un astratto quanto illogico «non-io»; da ciò ne consegue che sono proprio io a pormi come soggetto coscientemente interprete di una sensazione che in questa fase analitica preliminare possiamo a grandi linee definire di «rompimento».
    Che cosa simboleggi il concetto di rompimento lo vedremo più avanti.
    Intanto cominciamo con lo specificare che la parola «rotto» è il participio passato del verbo «rompere» che in una prima accezione significa: «spezzare, spaccare, dividere qualcosa in più parti specialmente con la forza», ma possiede anche altri significati, ad esempio in senso figurato può voler dire «non rispettare, violare un obbligo morale, non tener fede».
    È sufficiente questo approccio semantico? No, non lo è per il semplice fatto che il verbo «rompere» nella frase in questione è intransitivo pronominale. Che cosa comporta quest’ulteriore specificazione grammaticale? Comporta semplicemente che il verbo oggetto della nostra analisi va assunto tenendo conto delle sue proprietà, ovvero della sua corretta configurazione morfologica che si concreta nella parola «rompersi», il cui ausiliare è il verbo «essere»; ciò che in definitiva spiega formalmente la declinazione del sopraindicato «Mi sono rotto» da cui siamo partiti.
    Che cosa implica tutto questo? Implica un diverso significato del verbo in esame che, preso ancora una volta in senso figurato, l’unico che riesca sotto ogni aspetto a soddisfare i criteri di un’efficace disambiguazione linguistica, fa sì che «rompersi», data la specificazione derivante dal complemento oggetto «coglioni», sia equiparabile a «seccarsi, arrabbiarsi, averne abbastanza».
    Ma in che senso i coglioni illuminano il significato ultimo del verbo «rompersi» nella frase: «Mi sono rotto i coglioni» di cui stiamo cercando di sviscerare le potenzialità assertive?
    Proviamo per un attimo a spostare il ragionamento su un piano comparativo. Se io dico: «Mi sono rotto una gamba», qual è l’informazione standard che viene veicolata al destinatario del mio messaggio? È chiaro che in questo caso il verbo «rompersi» si delinea come quella parte del discorso riferibile specificatamente a un’azione particolare, esclusiva, ovvero all’azione che ha provocato la rottura fisica, materiale della mia gamba (resta qui indifferente se ciò sia imputabile a una caduta da cavallo, a un colpo ricevuto durante una partita di calcio o a un altro fattore x).
    Ora la questione estremamente delicata che si pone è la seguente: la rottura di una gamba, in qualunque modo essa sia stata causata, detiene di per sé la stessa valenza cognitiva, lo stesso grado di verifica empirica di una rottura di coglioni? In altri termini gamba e coglioni sono entrambi riconducibili a un'unica, invariante tipologia di rottura? La verità è che i coglioni citati nella frase «Mi sono rotto i coglioni», sebbene identificabili con la parte anatomica del corpo maschile comunemente denominata «testicoli», hanno in questo particolare sintagma un valore metaforico.
    A cosa allude l’uso metaforico dei coglioni? Principalmente al fatto che la rottura dei coglioni non va intesa in termini letterali; perciò quando si pronuncia la frase «Mi sono rotto i coglioni» non significa che si sia verificata una reale frattura dei coglioni in quanto ghiandole sessuali maschili preposte alla formazione degli spermatozoi, ma soltanto che essi, specchio ideale della condizione esistenziale del soggetto di cui sono attributi, si sono platonicamente rotti nel senso che hanno esaurito il loro margine di sopportabilità e tolleranza ambientale, fenomeno che costituisce, ecco il punto cruciale della nostra analisi, l’ontologia stessa del rompimento di coglioni.

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Questo discorso è stato pubblicato sulla rivista
"cessati spiriti", pezzi sparsi di mondo, 21, almanak,
scepsi & mattona editori, agosto 2021, p. 14, cliccate qui.



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