Paolo Albani
SPIEGARE L'UMORISMO
NON È UNA BARZELLETTA

 

Nulla può resistere all’assalto di una risata, ha detto Marx Twain. D’accordo. Ma quando c’interroghiamo sul perché si ride, cala un sipario d’incertezza. Scrittori, artisti, filosofi, psicanalisti, “magnetizzatori del linguaggio” (come André Breton) e altri ancora, hanno cercato di spiegare il fenomeno con risultati non proprio esaltanti né tanto meno definitivi. I più grandi pensatori – ha scritto Umberto Eco al riguardo – sono scivolati sul comico; sono riusciti a definire il pensiero, l’essere, Dio, ma quando sono arrivati a spiegarci perché un signore che scende le scale e improvvisamente scivola ci fa morire dal ridere, si sono avvolti in una serie di contraddizioni e ne sono usciti, dopo immensi sforzi, con risposte esilissime.

     Che sia un fenomeno complesso, l’umorismo di cui la risata è il condimento essenziale, lo testimonia il fatto che esistono svariate forme di riso. Un interessante tentativo di enumerazione delle diverse tipologie di riso si deve a Rostilav Nikolaevič Jurenev, teorico e storico della commedia cinematografica, per il quale il riso può essere: gioioso e triste, buono e indignato, intelligente e sciocco, superbo e cordiale, condiscendente e insinuante, sprezzante e sgomento, offensivo e incoraggiante, sfacciato e timido, amichevole e ostile, ironico e sincero, sarcastico e ingenuo, tenero e rozzo, significativo e gratuito, trionfante e giustificatorio, spudorato e imbarazzato; e ancora: allegro, malinconico, nervoso, isterico, beffardo, fisiologico, animalesco; senza dimenticare il riso tetro. E quello satanico, aggiungo io, pensando a Baudelaire.

    Nella sua Breve storia della risata, Terry Eagleton, critico letterario e professore di Letteratura inglese in varie Università del Regno Unito, contraddicendo l’assunto che analizzare una barzelletta (nel libro Eagleton ne racconta svariate) equivalga a ucciderla, sostiene che sia possibile dire qualcosa di convincente e coerente sul perché ridiamo, senza sabotare lo spirito della comicità, così come conoscere i meccanismi di funzionamento di una poesia non la rovina.

    Fenomeno universale, la risata, come la danza, è un linguaggio del corpo (Cartesio l’ha definita un «grido inarticolato ed esplosivo») che comporta una perdita di autocontrollo che ci fa regredire allo stato scoordinato del bambino. Quando ridiamo emettiamo strani rumori: bubbolii, ragli, gracchi, nitriti, muggiti, che denunciano la nostra affinità con altri animali, e in effetti, secondo alcuni studiosi, certi primati producono versi simili alle nostre risate (Darwin credeva che le scimmie ridessero quando veniva fatto loro il solletico). Nell’ultimo film di Woody Allen, Un giorno di pioggia a New York, un personaggio confessa di non poter sposare la propria ragazza, che per altro ama moltissimo, perché ride in una maniera terribile.

     Eagleton tratta la risata come un testo e ne sviscera il significato facendo riferimento, da buon critico letterario, a una moltitudine di citazioni prese da libri di scrittori, in gran parte inglesi, mettendoci in guardia sul fatto che la comicità può essere un termine sia positivo che umiliante: dare del comico a qualcuno non è il migliore dei complimenti.

     Per spiegare l’umorismo, Eagleton esamina alcune ben note teorie. In primo luogo la Teoria del sollievo, attribuibile a Sigmund Freud per il quale una battuta (o motto) di spirito è la liberazione dell’energia psichica che investiamo nel tenere a freno le nostre inibizioni. Teoria che ha illustri precedenti, come Kant che considera la risata «un affetto che sorge dall’improvviso trasformarsi in nulla della tensione di un’aspettativa».

     C’è poi la cosiddetta Teoria della superiorità dell’umorismo secondo la quale il riso è determinato, non solo da un’azione che ci fa piacere, ma anche dallo scoprire che in altri c’è qualcosa d’imperfetto. Il primo a formularla è stato Thomas Hobbes nel Lievatano. Per il cupo filosofo Arthur Schopenhauer uno scroscio di risate è stimolato dalla vista di quei patetici insetti conosciuti come essere umani. Dietro ogni derisione, afferma Sándor Ferencz, pioniere della psicoanalisi, si nasconde una risata inconsapevole.

      La spiegazione più plausibile del perché si ride, per Eagleton, resta la Teoria dell’incongruenza, dove la risata è frutto di un deragliamento del senso, una violazione di leggi convenzionali.

   Gli ultimi due capitoli Eagleton li dedica alla storia e alla politica dell’umorismo. Il riso non è tollerato dalle élite dell’Europa antica e medievale, e neanche da quelle di oggi, e viene bandito dal culto religioso. Da sempre la comicità costituisce una minaccia per il potere e riguardo alle donne, data la naturale (sic) freddezza della loro indole – secondo alcuni – esse mancano quasi sempre di umorismo.

     Il libro si chiude con un cenno al carnevale, dominio utopico di libertà, in cui l’umorismo coniuga critica e utopia. Stupisce che, parlando di politica, Eagleton ometta di citare lo slogan fra i più noti del maggio francese: UNA RISATA VI SEPPELLIRÀ.

 


Domenica - Il Sole 24 Ore, 26 luglio 2020, p. XIV.

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